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Bukowski
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Data:
12/10/2002 17.34.05




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Seneca, Lettere a Lucilio, 47, 1-10 [traduzione sotto l'originale]
[1] Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. 'Servi sunt.' Immo homines. 'Servi sunt ' Immo contubernales. 'Servi sunt.' Immo humiles amici. 'Servi sunt.' Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. [2] Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore opera omnia egerat quam ingessit. [3] At infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem ut loquantur, licet; virga murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ulla voce interpellatum silentium luitur; nocte tota ieiuni mutique perstant. [4] Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet. At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum imminens in caput suum avertere; in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant. [5] Deinde eiusdem arrogantiae proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos: non habemus illos hostes sed facimus. Alia interim crudelia, inhumana praetereo, quod ne tamquam hominibus quidem sed tamquam iumentis abutimur. [quod] Cum ad cenandum discubuimus, alius sputa deterget, alius reliquias temulentorum <toro> subditus colligit. [6] Alius pretiosas aves scindit; per pectus et clunes certis ductibus circumferens eruditam manum frusta excutit, infelix, qui huic uni rei vivit, ut altilia decenter secet, nisi quod miserior est qui hoc voluptatis causa docet quam qui necessitatis discit. [7] Alius vini minister in muliebrem modum ornatus cum aetate luctatur: non potest effugere pueritiam, retrahitur, iamque militari habitu glaber retritis pilis aut penitus evulsis tota nocte pervigilat, quam inter ebrietatem domini ac libidinem dividit et in cubiculo vir, in convivio puer est. [8] Alius, cui convivarum censura permissa est, perstat infelix et exspectat quos adulatio et intemperantia aut gulae aut linguae revocet in crastinum. Adice obsonatores quibus dominici palati notitia subtilis est, qui sciunt cuius illum rei sapor excitet, cuius delectet aspectus, cuius novitate nauseabundus erigi possit, quid iam ipsa satietate fastidiat, quid illo die esuriat. Cum his cenare non sustinet et maiestatis suae deminutionem putat ad eandem mensam cum servo suo accedere. Di melius! quot ex istis dominos habet! [9] Stare ante limen Callisti domi num suum vidi et eum qui illi impegerat titulum, qui inter reicula manicipia produxerat, aliis intrantibus excludi. Rettulit illi gratiam servus ille in primam decuriam coniectus, in qua vocem praeco experitur: et ipse illum invicem apologavit, et ipse non iudicavit domo sua dignum. Dominus Callistum vendidit: sed domino quam multa Callistus!
[10] Vis tu cogitare istum quem servum tuum vocas ex isdem seminibus ortum eodem frui caelo, aeque spirare, aeque vivere, aeque mori! tam tu illum videre ingenuum potes quam ille te servum. Variana clade multos splendidissime natos, senatorium per militiam auspicantes gradum, fortuna depressit: alium ex illis pastorem, alium custodem casae fecit. Contemne nunc eius fortunae hominem in quam transire dum contemnis potes.

1 Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si conf? alla tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini. "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavit?, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. 2 Perci? rido di chi giudica disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non perch? ? una consuetudine dettata dalla pi? grande superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in piedi? Egli mangia oltre la capacit? del suo stomaco e con grande avidit? riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni: ? pi? affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo. 3 Ma a quegli schiavi infelici non ? permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio ? represso col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare tutta la notte in piedi digiuni e zitti. 4 Cos? accade che costoro, che non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male. Invece quei servi che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa per lui e a stornare su di s? un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante i banchetti, ma tacevano sotto tortura. 5 Inoltre, viene spesso ripetuto quel proverbio frutto della medesima arroganza: "Tanti nemici, quanti schiavi": loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi. Tralascio per ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero uomini, ma bestie. Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un altro, stando sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi. 6 Uno scalca volatili costosi; muovendo la mano esperta con tratti sicuri attraverso il petto e le cosce, ne stacca piccoli pezzi; poveraccio: vive solo per trinciare il pollame come si conviene; ma ? pi? sventurato chi insegna tutto questo per suo piacere di chi impara per necessit?. 7 Un altro, addetto al vino, vestito da donna, lotta con l'et?: non pu? uscire dalla fanciullezza, vi ? trattenuto e, pur essendo ormai abile al servizio militare, glabro, con i peli rasati o estirpati alla radice, veglia tutta la notte, dividendola tra l'ubriachezza e la libidine del padrone, e fa da uomo in camera da letto e da servo durante il pranzo. 8 Un altro che ha il c?mpito di giudicare i convitati, se ne sta in piedi, sventurato, e guarda quali persone dovranno essere chiamate il giorno dopo perch? hanno saputo adulare e sono stati intemperanti nel mangiare o nei discorsi. Ci sono poi quelli che si occupano delle provviste: conoscono esattamente i gusti del padrone e sanno di quale vivanda lo stuzzichi il sapore, di quale gli piaccia l'aspetto, quale piatto insolito possa sollevarlo dalla nausea, quale gli ripugni quando ? sazio, cosa desideri mangiare quel giorno. Il padrone, per? non sopporta di mangiare con costoro e ritiene una diminuzione della sua dignit? sedersi alla stessa tavola con un suo servo. Ma buon dio! quanti padroni ha tra costoro. 9 Ho visto stare davanti alla porta di Callisto il suo ex padrone e mentre gli altri entravano, veniva lasciato fuori proprio lui che gli aveva messo addosso un cartello di vendita e lo aveva presentato tra gli schiavi di scarto. Cos? quel servo che era stato messo tra i primi dieci in cui il banditore prova la voce, gli rese la pariglia: lo respinse a sua volta e non lo giudic? degno della sua casa. Il padrone vendette Callisto: ma Callisto come ha ripagato il suo padrone!
10 Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, ? nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tu puoi vederlo libero, come lui pu? vederti schiavo. Con la sconfitta di Varo la sorte degrad? socialmente molti uomini di nobilissima origine, che attraverso il servizio militare aspiravano al grado di senatori: qualcuno lo fece diventare pastore, qualche altro guardiano di una casa. E ora disprezza pure l'uomo che si trova in uno stato in cui, proprio mentre lo disprezzi, puoi capitare anche tu.

[fonte: opere complete tradotte]


Seneca, Lettere a Lucilio, 94, 52-54
[52] Haec sunt per quae probatur hanc philosophiae partem supervacuam non esse. Quaeritur deinde an ad faciendum sapientem sola sufficiat. Huic quaestioni suum diem dabimus: interim omissis argumentis nonne apparet opus esse nobis aliquo advocato qui contra populi praecepta praecipiat? [53] Nulla ad aures nostras vox inpune perfertur: nocent qui optant, nocent qui execrantur. Nam et horum inprecatio falsos nobis metus inserit et illorum amor male docet bene optando; mittit enim nos ad longinqua bona et incerta et errantia, cum possimus felicitatem domo promere. [54] Non licet, inquam, ire recta via; trahunt in pravum parentes, trahunt servi. Nemo errat uni sibi, sed dementiam spargit in proximos accipitque invicem. Et ideo in singulis vitia populorum sunt quia illa populus dedit. Dum facit quisque peiorem, factus est; didicit deteriora, dein docuit, effectaque est ingens illa nequitia congesto in unum quod cuique pessimum scitur.

52 Tali prove dimostrano come questa parte della filosofia non sia superflua. Ci si chiede, poi, se da sola basti a formare il saggio. Questo problema lo affronteremo a suo tempo; intanto, messe da parte le prove, non ? forse chiaro che abbiamo bisogno di un esperto che ci dia ammaestramenti contrari a quelli della massa? 53 Tutte le parole che ascoltiamo ci danneggiano: ci nuoce chi ci augura il bene come chi ci augura il male. Le maledizioni degli uni ci incutono false paure, e l'amore degli altri, con i suoi buoni aug?r?, ci d? dei cattivi insegnamenti, perch? ci indirizza verso beni lontani, incerti e dubbi, mentre la nostra felicit? la possiamo trovare dentro di noi. 54 Non si pu? secondo me, procedere per la retta via; ci fanno deviare i genitori, i servi. Nessuno coinvolge negli errori solo se stesso, ma diffonde la sua follia sul prossimo e a sua volta la riceve dagli altri. Per questo i vizi della massa li ritroviamo nei singoli: ? stata la massa a trasmetterli. Nel momento in cui uno corrompe, ? corrotto; ha imparato il male e lo ha poi insegnato e ne ? nata quell'enorme malvagit?, poich? si accumulano in un solo individuo i vizi peggiori di ciascuno.

[fonte: opere complete tradotte]



La traduzione del passo dei Benefici (di cui non ho l'originale) la trovi qui:

http://www.lastoria.org/seneca-debene...
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