Mancano pochi giorni alla prova scritta della maturità, per il classico. Anche per quest’anno è la volta del latino. Il nostro sondaggio ad hoc enumera gli autori ritenuti, da sempre, i più “gettonati”. In questo spazio, esamineremo insieme alcuni brani “topici” di tali autori (uno per autore), brani che – per l’affastellarsi di regole e costrutti, e di temi in certo modo “attuali” o comunque ritenuti sempre validi – in effetti ben si presterebbero ad estrapolazioni atte a valutare il grado di preparazione degli studenti, strizzando l’occhio alla cronaca dei nostri giorni. I brani analizzati non rientrano (volutamente) in quelli proposti in precedenti prove di maturità classica, scientifica o magistrale... beh, può darsi che la fortuna ;)
Mi rendo conto che proporre altri brani, oltre quelli già contenuti negli eserciziari, può sembrare quantomeno inutile o addirittura sadico; ciononostante, v’invito a perfezionare le vostre tecniche di traduzione tenendo conto delle seguenti proposte, molto mirate, cercando di approntare una vostra stesura del testo, ricorrendo, laddove incontrate qualche difficoltà, agli aiuti contenuti nelle note OVERLIB ai testi latini. Credo sia un'ottima occasione per una ripetizione generale. In bokka al lupo.

 

 

Valerio Massimo
Seneca
Cicerone

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valerio massimo



Iniziamo con Valerio Massimo: ho scelto di proposito un brano in certi punti piuttosto complesso (seguendo, del resto, una falsariga purtroppo consolidata nelle scelte ministeriali di questi ultimi anni), pieno zeppo di costrutti e regole ed eccezioni. La traduzione che proporrò, stesa in base alle valutazioni discusse all’interno delle note OVERLIB al testo latino, è (altrettanto volutamente) libera e “contenutistica”, volta cioè a sciogliere in un italiano piano e lineare talune involuzioni del testo originale, anche sacrificando talora la “lettera” del testo.


>>> Valerius Maximus, Factorum Et Dictorum Memorabilium Liber, VIII, 7.ext.5/6 partim

[5] Carneades laboriosus et diuturnus sapientiae miles, si quidem xc expletis annis idem illi uiuendi ac philosophandi finis fuit, ita se mirifice doctrinae operibus addixerat, ut, cum cibi capiendi causa recubuisset, cogitationibus inhaerens manum ad mensam porrigere obliuisceretur. sed ei Melissa, quam uxoris loco habebat, temperato studia non interpellandi et inediae succurrendi officio dexteram suam necessariis usibus aptabat. ergo animo tantum modo uita fruebatur, corpore uero quasi alieno et superuacuo circumdatus erat. idem cum Chrysippo disputaturus elleboro se ante purgabat ad expromendum ingenium suum adtentius et illius refellendum acrius. quas potiones industria solidae laudis cupidis adpetendas effecit!
[6] Quali porro studio Anaxagoran flagrasse credimus? qui cum e diutina peregrinatione patriam repetisset possessionesque desertas uidisset, 'non essem' inquit 'ego saluus, nisi istae perissent'. uocem petitae sapientiae compotem! nam si praediorum potius quam ingenii culturae uacasset, dominus rei familiaris intra penates mansisset, non tantus Anaxagoras ad eos redisset.

 

>>> Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili, VIII, 7 esempi stranieri 5/6 partim

[5] Carneade, infaticabile milite del sapere – se è vero che, a 90 anni compiuti, andò incontro, insieme, alla fine e della propria vita e del filosofare – s’era consacrato in modo così straordinario alle attività del sapere che, quando s’accomodava a tavola per mangiare, immerso com’era nelle proprie elucubrazioni, dimenticava di stendere la mano verso la mensa.
Ma era Melissa, la sua concubina – che oramai ben dosava la premura di non disturbare le sue occupazioni e la necessità di farlo mangiare – ad imboccarlo.
Carneade, insomma, viveva solo di spirito, e il corpo che l’avvolgeva era per lui come un qualcosa di estraneo e superfluo. Ogni qual volta era in procinto di affrontare una disputa filosofica con Crisippo, si purgava con l'elleboro per essere in grado di corroborare meglio le proprie idee e di confutare, con maggior veemenza, quelle dell'altro. Ah, quali pozioni egli non rese appetibili per coloro che desiderano la vera gloria!
[6] E ancora, per quale passione crediamo che sia arso Anassagora, se non per quella del sapere? Ritornato in patria dopo un lungo viaggio all’estero, e scorti i propri beni abbandonati, così disse: “Non sarei salvo io, se questi beni non fossero andati perduti”. Che parole pregne di salda saggezza! Egli, in effetti, se si fosse dedicato alla coltura, piuttosto che alla cultura, sarebbe rimasto, sì, padrone del patrimonio famigliare, nella propria casa, ma non vi sarebbe tornato nelle vesti di quell’Anassagora rinomato e magnifico che oggi noi tutti conosciamo.

Trad. Bukowski/copyleft

 

 

SPIGOLATURE a proposito...


... dell’elleboro. Questo fiore invernale è chiamato comunemente Rosa di Natale. Appartiene alla famiglia delle Ranuncolacee.
Esistono diverse specie: l'Helleborus niger (o rosa di Natale), l'Helleborus viridis (= elleboro verde) , l'Helleborus foetidus (="cavolo di lupo"), l'Helleborus Purpurascens (le sue foglie hanno un colore vere chiaro ed i suoi fiori sono grandi di colore violetto), l'Helleborus Abchasicus (con fiori bianco-rosei), l'Helleborus Odorus (con foglie bellissime e fiori penduli, odorosi, di colore verdastro) e l'Helleborus Orientalis (nativo della Siria, dell'isola di Antichira: ha bei fiori grandi e rosa).
Gli inglesi lo chiamano in generale hellebore, ma Christmas flower la specie Helleborus niger.
In Francia lo chiamano Rose de Nöel.
Nella lingua tedesca abbiamo due termini per chiamarla: Christrose o Schneerose.
Questo fiore si presenta con cinque petali bianchi-rosacei. Appartiene alle specie delle erbacee perenni. Le foglie, annunciatrici della sua fioritura, sono grandi, palmate, coriacee, di un colore verde scuro.
Secondo l'etimologia, questo termine deriva dal greco, Helleborus: è formata da due parole greche che significano "far morire " e "nutrimento" che uccide, in riferimento alla sostanza venefica che contiene.Infatti tutta la pianta è altamente velenosa. Le parti più velenose sono il rizoma e le radici. La precauzione di lavarsi le mani dopo aver toccato le rose di Natale è una buona norma.
Attorno a questa pianta sono sorte innumerevoli leggende.
Questo fiore era conosciutissimo fino dall'antichità e tenuto in sommo pregio per vantate proprietà medicinali. La storia dell'introduzione di questo vegetale nella farmacologia popolare si perde nell'oscurità dei tempi. In una favola si racconta che un pastore di nome Melampo, che era nello stesso tempo medico ed indovino, avendo osservato che il proprio gregge si purgava allorché si cibava di Elleboro, pensò di utilizzarlo come medicamento anche nelle malattie degli uomini. Potè guarire, con questa medicina "miracolosa", la pazzia che aveva colpito le figlie di Preto, re di Argo, che si credevano di essere state tramutate in vacche. Fu chiamato "Purgatore", titolo onorifico: ottenne la fede nuziale di una di esse, una parte del regno di Argo ed una candidatura a divinità.
Il poeta latino Orazio consigliava di recarsi per la cura della pazzia sull'isola di Anticipa, in cui cresceva copiosamente.
F.D.Guerrazzi nel cap. XXVI dell' "Assedio di Firenze" esclamava: "Ah, storico, invece di spendere in inchiostro comprati Elleboro, tu sei pazzo." Le virtù mediche di questa pianta furono esagerate. Carneade la usò prima di scrivere a Zenone. Gabriele D'Annunzio ne "La figlia di Iorio" lo ribadisce in chiave poetica: "Vammi in cerca dell'elleboro nero che il senno renda a questa creatura." Oggi in India si brucia questa pianta accanto al letto delle partorienti, per affrettare il parto e perché lo spirito degli dei entri nella mente del neonato. In tempi abbastanza recenti è stato bandito dalle farmacie, considerata pianta altamente tossica. [fonte: giardinaggio.it]



... delle diete dei filosofi. Seguendo la preziosissima guida di Diogene Laerzio, biografo dei filosofi antichi, vissuto nel III secolo d.C., proviamo ad immaginare un "banchetto filosofico", e a vedere cosa ci fosse sulla tavola. E' assai probabile che Aristippo di Cirene, edonista convinto, fosse dedito a banchetti sontuosi, ricchi di pietanze raffinate e servite da giovani danzatrici; al suo maestro Socrate, invece, non interessavano minimamente i piaceri della gola visto che "preferiva mangiare per vivere che vivere per mangiare" e che "mangiava nel modo più gradevole quando non sentiva il bisogno di accompagnare il cibo con altro cibo".
Per Pitagora, persona tutta dedita all'armonia e alla ricerca mistica dei numeri, l'importante era "non oltrepassare la giusta misura, sia nel bere sia nel mangiare"; la sua dieta si componeva di verdure, sale (che, come la Giustizia, conserva ciò su cui è messo), acqua di giorno, un po' di vino la sera, pane.
Pitagora era a capo di una vera e propria setta filosofica da lui fondata, che si reggeva in base a regole ferree: una di queste era l'assoluto divieto di mangiare fave. Regola alquanto bizzarra, la cui origine pare debba riferirsi a quando Pitagora, per cercare riparo da chi lo stava inseguendo, si rifugiò in un campo di fave, e nell'attesa di poter ripartire, ne fece una bella indigestione: egli non sapeva di essere affetto da favismo, per cui passò qualche giorno in bilico tra la morte e la vita. Altri cibi vietati nella setta pitagorica erano la triglia, e il cuore degli animali.
Di Platone sappiamo solo che era ghiottissimo di fichi secchi e olive. Pare invece che lo scettico Carneade, totalmente dedito ai suoi profondi pensieri, avesse bisogno in tutto e per tutto della devota compagna Melissa, la quale pazientemente lo imboccava, visto che il filosofo si dimenticava completamente di mangiare. Per quanto riguarda gli epicurei, le notizie sono discordanti:c'è chi dice che fossero dediti a gozzovigliare e ad abbuffarsi di formaggio, altri dicono che Epicuro si contentasse di pane e acqua. I Cinici, sprezzanti di ogni rituale convenzionale, mangiavano in mezzo alla strada, il loro "capo" Diogene pare mangiasse lenticchie all'interno di 1 sorta di panino antico, lupini, fichi secchi, e olive. La sua teoria era che "tutti gli elementi sono contenuti in tutte le cose" per cui "nel pane c'è carne e nella verdura c'è il pane". Pare sia morto, dopo aver mangiato un polipo crudo, di colera. [fonte: ilgolosastro.it]


 

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