### TACITO - CASO E NECESSITA' - ANNALES, VI, 22 ###
BRANO ORIGINALE: torna all'indice

Tacito[6.22] sed mihi haec ac talia audienti in incerto iudicium est fatone res mortalium et necessitate immutabili an forte volvantur. quippe sapientissimos veterum quique sectam eorum aemulatur diversos reperies, ac multis insitam opinionem non initia nostri, non finem, non denique homines dis curae; ideo creberrime tristia in bonos, laeta apud deteriores esse. contra alii fatum quidem congruere rebus putant, sed non e vagis stellis, verum apud principia et nexus naturalium causarum; ac tamen electionem vitae nobis relinquunt, quam ubi elegeris, certum imminentium ordinem. neque mala vel bona quae vulgus putet: multos qui conflictari adversis videantur beatos, at plerosque quamquam magnas per opes miserrimos, si illi gravem fortunam constanter tolerent, hi prospera inconsulte utantur. ceterum plurimis mortalium non eximitur quin primo cuiusque ortu ventura destinentur, sed quaedam secus quam dicta sint cadere fallaciis ignara dicentium: ita corrumpi fidem artis cuius clara documenta et antiqua aetas et nostra tulerit.

TRADUZIONE: torna all'indice
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traduzione fornita da progettovidio.it (e ripresa da altri portali) appena dopo la conferma data dal corriere della sera (per scelta deliberata; il sito, in realtà, dava accreditato Tacito già dal giorno prima; la traduzione, del resto, è presente sul portale già dal 2002 - clicca record database):
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22. Ora io, quando ascolto questi e simili fatti, resto in dubbio se le vicende umane siano mosse dal fato, con la sua ineludibile necessità, oppure dal caso. Perciò troverai i grandi filosofi antichi, e quanti ne seguono oggi le orme, divisi su questo punto: molti sono convinti che gli dèi non si curano né dell'origine né della fine nostra e, in una parola, degli uomini, e che così si spiega il caso, tanto frequente, di sventure toccate ai buoni e di vita felice per i malvagi. Altri, invece, pensano che nelle cose si esprima un preciso destino, derivato non dal corso delle stelle, bensì dalle cause prime e dal concatenarsi di rapporti naturali; e purtuttavia lasciano sussistere una libera scelta nella vita, scelta che comporta una successione determinata di eventi. E pensano che il bene e il male non sono quelli che si immagina il volgo: molti, in preda alle sventure, sono felici e moltissimi, nel pieno della loro potenza, infelici, se i primi reggono con animo fermo (al peso delle sventure e gli altri abusano con cieca leggerezza della propria fortuna. Comunque la maggior parte dei mortali non rinuncia alla convinzione che il destino sia segnato fin dalla nascita e che, se i fatti non corrispondono alle previsioni, ciò sia colpa di chi fa predizioni inconsulte; e così spiega il discredito crescente di quell'arte divinatoria, di cui tante solenni prove hanno dato l'età antica e il tempo presente.

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LE ALTRE MIGLIORI TRADUZIONI DALLA RETE (con eventuali commenti del traduttore):
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CORRIERE: torna all'indice

Quanto a me, nell'ascoltare tali e simili fatti, sono incerto nella valutazione se le vicende dei mortali si snodino secondo il destino ed una necessità immutabile o in base al caso. In effetti troverai i più saggi degli antichi e quelli che seguono la loro dottrina in disaccordo, e molti [il riferimento è soprattutto agli Epicurei] hanno il fermo convincimento che né la nostra nascita né la morte né in sostanza gli uomini stiano a cuore agli dei; perciò molto frequentemente le sventure capitano ai buoni, le fortune ai peggiori. Al contrario altri [il riferimento è agli Stoici] ritengono che certo il destino sia in armonia con gli eventi, ma non dipenda dalle stelle erranti, ma consista in principi e concatenazioni di cause naturali; e tuttavia lasciano a noi la scelta del modo di vivere, ma quando tu abbia operato la scelta è sicura la successione delle conseguenze. Né sono mali o beni quelli che pensa la gente comune: molti che sembrano lottare con le avversità, sono felici, e i più nonostante abbiano grandi sostanze, molto infelici, se quelli sopportino fermamente la cattiva sorte, questi usufruiscano della buona (sorte) sconsideratamente.
D'altronde la maggior parte dei mortali non rinuncia all'opinione che gli eventi futuri siano fissati sin dalla nascita di ciascuno, ma alcuni avvengono diversamente dalle predizioni per gli errori di coloro che predicono ciò che non sanno; così si scredita l'arte di cui l'età antica e la nostra ha prodotto famose attestazioni.

[traduzione della professoressa Rossana Marconi Arcioni, ex-insegnante di Letteratura al liceo classico Tasso di Roma; fonte: http://www.corriere.it]

Un testo molto complesso, forse inadeguato per l'esame di maturità. Questo il giudizio della professoressa Rossana Marconi Arcioni, ex-insegnante di Letteratura al liceo classico "Tasso" di Roma, sulla versione di latino proposta oggi nei licei classici per la seconda prova dell'esame di Stato. "Tacito è un autore difficile, forse uno dei più ostici per ragazzi di diciannove anni".
Una versione ardua, dunque, complessa nella sintassi e con risvolti filosofici di difficile interpretazione. E poi c'è lo stile dell'autore, sempre molto sintetico nell'esprimersi. "Il brano comincia con una doppia interrogativa indiretta, una formula complicata per gli studenti - spiega la professoressa Marconi - Nella traduzione, poi, ho dovuto integrare alcuni passaggi più ellittici. Anche la resa dei termini non è agevole".
Alle difficoltà nel tradurre, si aggiungono le valutazioni filosofiche. "Il testo ha un forte contenuto filosofico, e gli studenti non sempre hanno la preparazione adeguata per poterli mettere in evidenza. Tutto dipende da come vengono svolti i programmi". Tacito, comunque, è sicuramente più complesso di Cicerone, Quintiliano e Seneca, gli altri autori dati per favoriti alla vigilia della prova. "Io probabilmente non l'avrei scelto per un esame di maturità. E' una versione più difficile rispetto agli esami degli anni precedenti"
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REPUBBLICA: torna all'indice

Ora, quando ascolto questi racconti e altri simili, mi sorge il dubbio se le vicende umane siano mosse da un destino e dalla necessità immutabile, o dal caso. Infatti troverai che i più saggi tra gli antichi e quelli che seguono le loro dottrine filosofiche sono su posizioni opposte, e che in molti è radicata l’opinione che gli dei non si curano della nostra origine, né della nostra fine; in poche parole, non si curano degli uomini; e che per questo molto di frequente le sventure ricadono sui buoni, la prosperità sta di casa presso i malvagi. Invece altri ritengono che il destino sia davvero in armonia con gli eventi, ma non sia determinato dal moto delle stelle, bensì risieda nei principi e nelle connessioni tra le cause naturali; e tuttavia ci lasciano la possibilità di scegliere la nostra vita, e, una volta fatta la scelta, anche una successione determinata degli eventi che seguiranno. E (ritengono) che i mali e i beni non siano quelli che potrebbe pensare la gente comune: molti, che sembrano lottare con le avversità, sono felici, mentre i più, anche se immersi nel benessere, sono del tutto infelici, se i primi tollerano con costanza una sorte onerosa, i secondi approfittano senza discernimento di una sorte prospera. Del resto, la maggior parte dei mortali non riesce a liberarsi dalla convinzione che il futuro di ciascuno sia determinato fin dalla nascita, ma che alcuni avvenimenti si verifichino diversamente da come sono stati previsti per gli errori di coloro che predicono cose che non sanno: così si deteriora la credibilità dell’arte (divinatoria), di cui sia l’età antica sia la nostra hanno dato illustri testimonianze.

[ traduzione di Paola Tamburini e Laura Pizzetti, Liceo Classico E. Setti Carraro dalla Chiesa di Milano; fonte: http://www.repubblica.it]


IL RESTO DEL CARLINO: torna all'indice

Ma io, quando sento dire queste cose e altre simili resto incerto se le vicende umane si svolgano per opera del fato e della necessità immutabile oppure per caso. Perciò troverai discordi i maggiori filosofi antichi e coloro che ne seguono la dottrina, e troverai che in molti è radicata l’opinione che gli dèi non si curino della nostra origine, della nostra fine e in definitiva degli uomini; e che perciò con tanta frequenza le disgrazie capitino ai buoni e le fortune ai malvagi. Altri al contrario ritengono che il fato trovi corrispondenza negli eventi, ma non per influsso dei moti astrali, bensì in base ai principi e alle concatenazioni delle cause naturali; e tuttavia ci lasciano liberi di scegliere la nostra vita, ma quando la si è scelta, la serie degli eventi che ci attendono è determinata. Né il male – ritengono – né il bene sono quelli che pensa il volgo: molti, che sembrano stretti dalle avversità, sono felici e molti altri invece, pur tra grandi ricchezze, più infelici che mai, se quelli sopportano con fermezza il peso della mala sorte, e questi fanno un uso sconsiderato della buona. Del resto, alla maggior parte dei mortali non si riesce a togliere la convinzione che per ciascuno il futuro sia fissato fin dalla nascita, ma che alcuni eventi smentiscano le predizioni a causa delle falsità di chi predice ciò che ignora: così, si compromette la credibilità di un’arte di cui l’antichità e il presente hanno fornito illustri testimonianze.

[traduzione del prof. Ivano Dionigi, Direttore del Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale e del Centro Studi La permanenza del Classico dell’Università di Bologna; fonte: http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net]

Compito non facile, anzi decisamente difficile il passo degli Annales di Tacito (I/II sec. d. C.); per la valenza tecnico-filosofica di alcuni termini; e soprattutto per l’impervia sintassi dell’autore, notoriamente complessa e asimmetrica benché la presenza sul vocabolario di due frasi iniziali e dell’eximitur quin verso la fine abbia soccorso i ragazzi in alcuni punti cruciali.
Conforta che il Ministero abbia scelto un passo significativo e nobile dal punto di vista concettuale: il dibattito, assai diffuso nell’antichità greca e latina, tra chi da un lato crede in un destino provvidenzialistico e ammette gli dèi curiosi, che "si prendono cura" dell’uomo; e chi, al contrario, crede in un destino meccanicistico che nega la presenza degli dèi o li individua come incuriosi (“incuranti” dell’uomo); fino toccare il grande tema della teodicea (“giustificazione di Dio”, la parola è di Leibniz): ai buoni capita il male, ai malvagi il bene. Grande tema che, noto fin da Solone (VI sec. a. C.), ha in Giobbe il suo simbolo più riconosciuto. Una piccola dimostrazione di come la pagina di un autore del I sec. d. C. ricapitoli una problematica della classicità e ne anticipi la rielaborazione moderna. Un motivo in più per tenerci stretti i nostri classici.
Suona tuttavia paradossale che un testo così ricco e impegnativo venga proposto da quello stesso Ministero che proprio in questi giorni ha presentato una bozza di decreto che di fatto riduce le ore di latino, e quindi compromette le competenze necessarie ad affrontare testi anche meno complessi di questo
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LATINOVIVO: torna all'indice

Ma io, quando sento questi e simili casi non riesco a giudicare (lett.: a me che sento queste e tali cose, il giudizio è nell'incertezza) se le vicende dei mortali siano manovrate dal destino o da una immutabile necessità o (se si svolgano) a caso. Infatti troverai che sono di opinioni opposte (lett.: troverai opposti) i più sapienti tra gli antichi e coloro che seguono la loro dottrina e che in molti è radicata la convinzione che non siano oggetto di cura per gli dei (= doppio dativo) né il nostro principio né la nostra fine né, in breve, gli uomini (stessi); che, perciò, molto spesso le sventure (lett.: le cose tristi) (piombino addosso) ai buoni (mentre) la prosperità abiti (lett.: le cose liete siano) presso i malvagi (lett.: quelli peggiori). Al contrario, altri pensano che gli avvenimenti siano, sì, legati al destino, ma non (dipendenti) dal corso delle stelle, bensì dalle cause prime e dalle conseguenze dei processi naturali; e tuttavia lasciano a noi la scelta (del genere) di vita dalla quale, una volta che tu l'abbia adottata, deriva un susseguirsi inevitabile di avvenimenti (lett.: una volta che tu abbia scelto la quale, un ordine certo di fatti che incalzano). E mali e beni non sono quelli che il volgo reputa (tali): molti che sembrano lottare contro le avversità (sono) felici, e molti (altri), sebbene (vivano) tra grandi ricchezze, (sono) infelicissimi, se quelli sopportano con fermezza una sorte gravosa (e) questi usano stoltamente una (sorte) buona. Del resto dalla maggior parte dei mortali non si può allontanare il (pensiero) che gli avvenimenti futuri siano destinati al momento della nascita di ciascuno, ma che alcuni accadano in modo diverso da come sono stati predetti, per le menzogne di coloro che dicono cose che non conoscono (lett.: sconosciute): così viene meno la fiducia in un'arte di cui sia l'età antica sia la nostra hanno portato chiari esempi.

[fonte: http://www.latinovivo.com]


LA STAMPA: torna all'indice

Quando sento parlare di questi e di altri episodi del genere, mi domando se le vicende umane si svolgono secondo il volere del destino e secondo una legge immutabile, oppure a caso. Si osserverà infatti che i più famosi filosofi antichi, e quelli che ne seguono la dottrina, hanno opposte opinioni; molti di essi sono fermamente convinti che gli dei non si occupino della nostra nascita e della nostra morte, di noi uomini, insomma; per cui molto spesso la sventura colpisce i buoni e la fortuna tocca ai malvagi.
Altri, al contrario, pensano che le vicende umane dipendano dal destino, non certamente per influsso del corso degli astri, ma in rapporto alle cause prime e alle loro naturali conseguenze; tuttavia concedono che sia libera la nostra scelta di vita ma, una volta fatta la scelta, è certo il corso delle conseguenze che ne derivano. D’altra parte, il bene e il male non sono quelli che comunemente si crede: molti, che sembrano sempre in lotta con le avversità, sono perfettamente felici, mentre i più, pur in mezzo alla prosperità, sono molto infelici, se è vero che i primi affrontano con fermezza le avversità, mentre gli altri non sanno gestire con saggezza la loro opulenza. Del resto, la maggior parte dei mortali non ha dubbi che il destino di ciascuno sia stabilito fin dalla nascita, ma che certi casi si risolvano in modo diverso da come era stato predetto per i raggiri di chi dice quel che non sa; così si scredita un’arte che ha fornito esempi luminosi nell’antichità come ai tempi nostri.

[m.g.bev.\; fonte: http://www.lastampa.it]


IL MATTINO: torna all'indice

Ora io, quando considero questi e altri simili casi, sono incerto se gli eventi umani avvengano per volere del destino o per una immutabile necessità o per caso. Infatti tu troverai in contrasto tra loro i principali filosofi antichi e quelli che oggi professano le loro dottrine, e inoltre l’opinione insita in molti che gli dei non si curino del nostro inizio, della nostra fine, in una parola degli uomini e perciò così spesso le sventure tocchino ai buoni e la prosperità ai malvagi. Invece altri credono che il destino si accordi alle cose umane, ma non dipendente dal corso delle stelle, bensì da cause prime e dai nessi delle conseguenze naturali. Tuttavia ci lasciano la scelta del genere di vita; ma quando l'avrai scelto (affermano che vi è) una serie inevitabile di conseguenze. Il male o il bene non è quello che crede il popolo: molti, che sembrano lottare contro le avversità, sono felici, e moltissimi, pur tra enormi ricchezze, sono infelicissimi, se quelli sopportano coraggiosamente la mala sorte e questi usano stupidamente la buona. Del resto dalla maggioranza degli uomini non si può sradicare la convinzione che l'avvenire di ognuno sia destinato fin dalla nascita, ma che alcuni fatti avvengano diversamente da come sono stati predetti per l'incompetenza di coloro che predicono cose che ignorano: che in tal modo venga meno la fede nell’arte (divinatoria), di cui chiare testimonianze ci hanno offerto tanto l'età antica quanto la nostra.

[trad. di Paolo Cutolo, docente del Liceo Scientifico Statale Tito Lucrezio Caro di Napoli]

Il brano proposto dal ministero, come ampiamente previsto dai siti internet specializzati nei giorni scorsi, è tratto dall’opera storiografica di Tacito gli «Annales». Si tratta di una digressione nella narrazione della vita dell’imperatore Tiberio, che nutriva una cieca fede nell'astrologia. Lo storico si sofferma a riflettere sulle cause prime degli eventi umani, elencando varie ipotesi, fra cui quella degli Epicurei (l'indifferenza degli dei) e quella degli Stoici (la predestinazione), alla quale dedica qui maggiore attenzione, perché è la più diffusa ai suoi tempi. Dipendente dalla fede nella predestinazione è quella nelle profezie, le cui frequenti smentite sarebbero da attribuire, secondo i cultori di esse, alla cialtronaggine dei falsi indovini. Il dubbio di Tacito, che viveva in un'epoca in cui erano tramontate antiche certezze, richiama la condizione esistenziale dell’uomo moderno, alla ricerca di un senso per la propria vita in un mondo che egli non comprende più. Il brano presenta le caratteristiche tipiche dello stile tacitiano: l’abbondanza di subordinate, l’ellissi del verbo essere, la variatio, ovvero il brusco cambio di costrutto, quale il passaggio dalla sostantiva con quin e il congiuntivo a quella con l’infinito, un fenomeno sintattico che può aver messo in crisi più di uno studente. Nel complesso, tuttavia, la struttura argomentativa del brano è piuttosto lineare ma l'interpretazione sembra essere stata giudicata difficile dagli studenti.


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