### SENECA - Hoc habeo, quodcumque dedi - I benefici, VI, 22 ###
BRANO ORIGINALE: torna all'indice

SenecaEgregie mihi videtur M. Antonius apud Rabirium poetam, cum fortunam suam transeuntem alio videat et sibi nihil relictum praeter ius mortis, id quoque, si cito
occupaverit, exclamare: “Hoc habeo, quodcumque dedi”. O quantum habere potuit, si voluisset! Hae sunt divitiae certae in quacumque sortis humanae levitate uno loco permansurae; quae cum maiores fuerint, hoc minorem habebunt invidiam. Quid tamquam tuo parcis? procurator es. Omnia ista, quae vos tumidos et supra humana elatos oblivisci cogunt vestrae fragilitatis, quae ferreis claustris custoditis armati, quae ex alieno sanguine rapta vestro defenditis, propter quae classes cruentaturas maria deducitis, propter quae quassatis urbes ignari, quantum telorum in aversos fortuna conparet, propter quae ruptis totiens adfinitatis, amicitiae, conlegii foederibus inter contendentes duos terrarum orbis elisus est, non sunt vestra; in depositi causa sunt iam iamque ad alium dominum spectantia; aut hostis illa aut hostilis animi successor invadet. Quaeris, quomodo illa tua facias? dona dando.
Consule igitur rebus tuis et certam tibi earum atque inexpugnabilem possessionem para honestiores illas, non solum tutiores facturus. Istud, quod suspicis, quo te divitem ac potentem putas, quam diu possides, sub nomine sordido iacet: domus est, servus est, nummi sunt; cum donasti, beneficium est.

TRADUZIONE: torna all'indice
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traduzione fornita da progettovidio.it (e ripresa da altri portali) appena dopo la conferma data da repubblica.it:
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Mi sembra che siano parole bellissime quelle pronunciate da M. Antonio in un verso del poeta Rabirio, quando si rende conto che la fortuna che lo aveva assistito ora passa ad altri e che a lui non rimane nient' altro che la facoltà di morire, e anche questa a patto che egli la sfrutti immediatamente: Ho quello che ho donato!
Quante cose avrebbe potuto avere, se avesse voluto! Queste sono le ricchezze sicure, destinate a rimanere in tutte le vicissitudini della condizione umana; e quanto maggiori diventeranno, tanta minore invidia susciteranno. Perché risparmi come se queste cose fossero tue? Tu non ne sei che l'amministratore.
Tutte queste cose che vi gonfiano d'orgoglio e vi innalzano al di sopra dell'umanità, vi fanno dimenticare la vostra fragilità, queste cose che custodite armati dietro sbarre di ferro, queste cose che avete rubato spargendo sangue altrui e che difendete versando il vostro, queste cose a causa delle quali mettete in acqua delle flotte che insanguineranno i mari, queste cose per le quali devastate le città, senza sapere con quanti colpi la fortuna vi assalirà alle spalle, queste cose per le quali, spezzati tante volte i legami di parentda, di amicizia, di società, tutto il globo fu diviso fra due contendenti, non sono vostre. Le avete in deposito e aspettano da un momento all'altro un nuovo padrone: o un nemico o un erede con un animo da nemico se ne impossesserà.
Chiedi come rendere tue queste cose? Donandole. Provvedi perciò alle tue cose e garantisciti un possesso sicuro e inalienabile, e non solo le metterai più al sicuro, ma te ne deriverà anche maggior onore. Queste cose che ammiri, grazie alle quali pensi di essere ricco e potente, finché le possiedi hanno nomi volgari: casa, schiavo, soldi; quando le hai donate sono un beneficio.

trad. Marastoni et alii, Seneca - Tutte le opere, Bompiani

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LE ALTRE MIGLIORI TRADUZIONI DALLA RETE (con eventuali commenti del traduttore):
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CORRIERE: torna all'indice

Mi pare che faccia una nobile affermazione Marco Antonio nei versi del poeta Rabirio , vedendo la sua fortuna andare da un’altra parte, e non rimanergli niente, se non il diritto di morire, (e) anche questo, se se ne impossessa subito: “Ho tutto quello che ho dato”. O quanto avrebbe potuto avere, se solo l’avesse voluto! Questa è (l’unica ) ricchezza sicura, destinata a rimanere in un solo medesimo luogo in qualsiasi volubilità dell’umana sorte; e questa ricchezza, quanto maggiore sarà, tanto minore invidia susciterà. Perché risparmi come se fosse tuo patrimonio? Ne sei (solo) un amministratore. Tutte queste cose, che vi costringono, tronfi e inorgogliti al di sopra della condizione umana, a dimenticare la vostra fragilità; cose che, armati, custodite con chiavistelli di ferro; che, sottratte a costo del sangue altrui, difendete con il vostro; a causa delle quali trascinate in acqua flotte che insanguineranno i mari; a causa delle quali sconvolgete città, senza sapere quanti dardi la fortuna appronti contro chi le gira le spalle; a causa delle quali, rotti tante volte i vincoli di parentela, amicizia, collaborazione, il mondo intero fu dilaniato tra due contendenti; tutte queste cose (insomma) non vi appartengono. Sono a titolo di deposito, destinate quanto prima a un altro padrone; se ne impossesserà o un nemico o uno che subentrerà con animo nemico. Mi chiedi come renderle tue? Donandole. Provvedi dunque alle tue cose, procura un possesso di esse per te sicuro e inespugnabile, con l’intento di renderle più onorevoli, non solo più sicure. Questo, che tu stai guardando con ammirazione, grazie al quale tu ti ritieni ricco e potente, per tutto il tempo che ne sei in possesso è catalogabile con nomi volgari: è una casa, è uno schiavo, sono soldi; ma una volta che l’hai donato, è un beneficio.

[traduzione della professoressa Paola Tamburini, docente di Latino e Greco; fonte: http://www.corriere.it]

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REPUBBLICA: torna all'indice

Mi sembra che M. Antonio presso il poeta Rabirio, mentre vede che i suoi beni passano ad altri e che a lui non è rimasto nulla se non il diritto di morte e anche quello, se l’avesse acquisito velocemente, esclami in modo egregio: “Ho ciò che ho donato”.
O quanto avrebbe potuto avere, se avesse voluto! Queste sono ricchezze sicure destinate a restare in un solo luogo nonostante qualsiasi volubilità della sorte umana (lett. in qualunque volubilità della sorte umana); queste quanto più grandi saranno, tanto minor invidia susciteranno. Perché le risparmi come se fosse (patrimonio) tuo? Sei (solo) l’amministratore. Tutte codeste ricchezze che costringono voi, gonfi di superbia e innalzati al di sopra delle sorti umane, a dimenticarvi della vostra fragilità, che custodite, armati, con chiavistelli di ferro, tutti codesti beni che, strappati all’altrui sangue (patrimonio conquistato a prezzo di sangue), difendete a prezzo del vostro, per i quali fate scendere in mare flotte destinate ad insanguinare i mari, per i quali distruggete città non sapendo quanti dardi la sorte prepari contro chi non si guarda ( lett. contro quelli rivolti di spalle), per i quali, rotti tante volte i patti di parentela, di amicizia e di colleganza politica tutto il mondo è stato lacerato tra due contendenti, non sono vostri; li avete in consegna e pronti ormai ad appartenere ad un altro padrone; o un nemico o un erede dall’animo ostile si impadronirà di essi. Tu mi chiedi in che modo tu possa renderli tuoi? Dandoli in dono.
Provvedi dunque alle tue cose e procurati un sicuro ed inattaccabile possesso di esse, pronto a renderle più oneste, non solo più sicure.
Ciò che tu ammiri, ciò per cui ti reputi ricco e potente, per tutto il tempo in cui lo possiedi, resta un bene ignobile (lett. giace sotto un ignobile nome): è (solo) una casa, è (solo) uno schiavo, sono (solo) monete; ma quando li hai donati, diventano un beneficio.

[Traduzione di : Laura Di Lorenzo e Daniela Oliverio, Liceo- ginnasio statale “A. di Savoia” di Tivoli; fonte: http://www.repubblica.it]


IL RESTO DEL CARLINO: torna all'indice

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LATINOVIVO: torna all'indice

Mi sembra che Marco Antonio, vedendo che la sua fortuna passava ad altri (lett.: altrove) e che a lui non era rimasto nulla se non la facoltà di  morire (lett.: di morte) (e) anche questa se l’avesse esercitata in fretta, esclami mirabilmente in un’opera del poeta Rabirio (lett.: presso il poeta Rabirio):

“Ho quello che ho donato” (lett.: questo ho, quello che ho dato)

Oh! Quanto avrebbe potuto avere se avesse voluto! Questa è la ricchezza sicura, destinata a rimanere (sempre) nello stesso posto (lett.: in un unico posto) in qualunque volubilità della sorte umana; e questa quanto più grande sarà, tanto minore invidia si attirerà (lett.: avrà). Perché risparmi come (se si trattasse di un patrimonio) tuo? (Tu ne) sei l’amministratore. Tutte codeste cose che vi fanno dimenticare la vostra fragilità, tronfi (come siete) e sprezzanti della umana condizione (lett.: inducono voi, tronfi e innalzati al di sopra delle umane sorti, a dimenticarvi della vostra fragilità), (tutte codeste cose) che (voi) con le armi in pugno (lett.: armati) custodite con serrature di ferro, che difendete con il vostro sangue dopo averle strappate ad altri versandone il sangue (lett.: portate via dal sangue altrui), per le quali varate flotte che insanguineranno i mari, per le quali squassate le città ignorando con quanti colpi la sorte vi prenderà alle spalle (lett.: ignari di quanti dardi la sorte prepari contro di voi voltati di spalle), per le quali, infranti tante volte i legami della parentela, dell’amicizia, di un’associazione, il mondo è stato diviso fra due contendenti, (tutte codeste cose) non sono vostre; sono (presso di voi) in conto deposito (lett.: nella condizione di un deposito), pronte a rivolgersi da un momento all’altro (lett.: che si rivolgono ormai già) ad un altro padrone; vi piomberà sopra o un nemico o un successore dall’animo nemico. Domandi come tu possa renderle tue? Donandole (lett.: dando doni; oppure: dandole come doni). Provvedi dunque alle tue cose e procurati un possesso di esse sicuro e inespugnabile e le renderai (lett.: destinato a renderle) (così) più rispettabili non solo più sicure. Questo patrimonio (lett.: questa cosa) che (tu) ammiri, grazie al quale pensi di essere ricco e potente, per tutto il tempo che lo possiedi, è oppresso da nomi volgari (lett.: singolare): (questi nomi) sono (lett.: è) “casa”, schiavo”, “soldi”; (ma) quando ne hai fatto dono, (il nome) è beneficio.

[fonte: http://www.latinovivo.com]


LA STAMPA: torna all'indice

Mi sembrano splendide le parole che, nell’opera del poeta Rabirio, esclama Marco Antonio, quando vede che ormai la sua fortuna sta volgendosi altrove, e che null’altro gli rimane se non il diritto di uccidersi - e anche questo, a condizione di esercitarlo in fretta. «Tutto ciò che possiedo, è quello che ho donato». Quanto avrebbe potuto possedere, se l’avesse voluto! Questi sono i beni certi, destinati a rimanere stabili, pur nella volubilità dell’umana sorte; e quanto maggiori saranno, tanto meno susciteranno gelosie. Perché risparmi come se tutto fosse tuo? Sei soltanto un amministratore. Tutti codesti beni, che a voi, gonfi d’orgoglio e convinti d’essere superiori alla comune umanità, fanno dimenticare la vostra fragilità; che custodite, armi in pugno, sotto chiavistelli di ferro; che, strappati a prezzo del sangue altrui, difendete a rischio del vostro; quelli per cui fate salpare flotte destinate a insanguinare i mari; quelli per cui distruggete città senza sapere quante armi la sorte procuri alle vostre spalle; quelli per cui, violati tante volte i patti tra affini, tra amici, tra colleghi, il mondo è terreno di scontro tra due contendenti... Tutte queste cose non vi appartengono, ma sono a titolo di deposito, destinate, una volta o l’altra, ad un altro padrone; se ne impadronirà o un nemico o un erede che la pensa da nemico. Mi chiedi come tu possa renderle veramente tue? Dàlle in dono. Abbi dunque cura dei tuoi beni e assicurati il loro possesso, così da renderli più onorevoli, non solo più sicuri. Quegli oggetti che guardi con ammirazione, per cui ti ritieni ricco e potente, finché sono in mano tua sono cose spregevoli, che vanno sotto nomi volgari: «casa», «schiavo», «denaro»; ma una volta che li hai donati, diventano un beneficio.


Marina Girotto Bevilacqua Liceo V. Gioberti, Torino

E’ l’intero terzo capitolo del VI libro del «De beneficiis», opera morale in sette volumi, di incerta datazione. Ma probabilmente da attribuire all’ultima fase della produzione senecana. Il capitolo si apre con la citazione di un poeta epico dell’età augustea, la cui opera, perduta, riguardava la battaglia di Azio e la tragica fine di Antonio e Cleopatra. Antonio, sull’orlo del suicidio, pronuncia la battuta su cui Seneca sviluppa il suo ragionamento paradossale: che nella vita conta più quello che si dona, di quello che si conquista a prezzo di lotte e di guerre; l’ombra tragica della guerra civile si coglie nei numerosi accenni al sangue, e al mondo diviso fra due contendenti. La radice della guerra, ribadisce Seneca come già affermava Platone, è economica. Caratteristica del passo e, in generale, di quest’opera, è la struttura pesante, talora prolissa: si veda, nel periodo centrale, la lunga sequenza delle relative che si conclude, a sorpresa, con la brevissima proposizione principale. La forte impronta retorica culmina nella figura etimologica, con marcata sequenza della dentale «Dona dando»: la generosità nel dare è l’unico bene sicuro - perché bene interiore - nella precarietà dei beni materiali e dell’esistenza stessa. La «bassezza» dei beni materiali («Sub nomine sordido iacet») si oppone al valore del «beneficium», la parola che chiude il brano. Senza dubbio, la prova, pur non presentando vere difficoltà sintattiche, richiede solide doti interpretative ed espressive, per una resa efficace della complessa struttura retorica. M. Girotto Bevilacqua

[m.g.bev.\; fonte: http://www.lastampa.it]


IL MATTINO: torna all'indice

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