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Mittente:
Bukowski
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Re: Tristia...
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Data:
15/04/2002 18.40.35
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Ovidio, Tristia, V, 10 Vt sumus in Ponto, ter frigore constitit Hister, facta est Euxini dura ter unda maris. At mihi iam uideor patria procul esse tot annis, Dardana quot Graio Troia sub hoste fuit. Stare putes, adeo procedunt tempora tarde, et peragit lentis passibus annus iter. Nec mihi solstitium quicquam de noctibus aufert, efficit angustos nec mihi bruma dies. Scilicet in nobis rerum natura nouata est, cumque meis curis omnia longa facit. An peragunt solitos communia tempora motus, stantque magis uitae tempora dura meae? Quem tenet Euxini mendax cognomine litus, et Scythici uere terra sinistra freti. Innumerae circa gentes fera bella minantur, quae sibi non rapto uiuere turpe putant. Nil extra tutum est: tumulus defenditur ipse moenibus exiguis ingenioque loci. Cum minime credas, ut aues, densissimus hostis aduolat, et praedam uix bene uisus agit. Saepe intra muros clausis uenientia portis per medias legimus noxia tela uias. Est igitur rarus, rus qui colere audeat, isque hac arat infelix, hac tenet arma manu. Sub galea pastor iunctis pice cantat auenis, proque lupo pauidae bella uerentur oues. Vix ope castelli defendimur; et tamen intus mixta facit Graecis barbara turba metum. Quippe simul nobis habitat discrimine nullo barbarus et tecti plus quoque parte tenet. Quorum ut non timeas, possis odisse uidendo pellibus et longa pectora tecta coma. Hos quoque, qui geniti Graia creduntur ab urbe, pro patrio cultu Persica braca tegit. Exercent illi sociae commercia linguae: per gestum res est significanda mihi. Barbarus hic ego sum, qui non intellegor ulli, et rident stolidi uerba Latina Getae; meque palam de me tuto mala saepe loquuntur, forsitan obiciunt exiliumque mihi. utque fit, in me aliquid ficti, dicentibus illis abnuerim quotiens annuerimque, putant. Adde quod iniustum rigido ius dicitur ense, dantur et in medio uulnera saepe foro. O duram Lachesin, quae tam graue sidus habenti fila dedit uitae non breuiora meae! Quod patriae uultu uestroque caremus, amici, atque hic in Scythicis gentibus esse queror: utraque poena grauis. Merui tamen urbe carere, non merui tali forsitan esse loco. Quid loquor, a! Demens? Ipsam quoque perdere uitam, Caesaris offenso numine. Dignus eram.
V 10 Da quando sono nel Ponto, tre volte per il freddo si ? fermato l'Istro, tre volte si ? fatta ghiaccio l'onda del mare Eusino. Ma a me sembra di essere lontano dalla patria gi? da tanti anni quanti la dardania Troia fu sotto l'assedio del nemico greco. Pare che si fermi il tempo, tanto lentamente procede, e a lenti passi l'anno porta alla fine il suo giro. Per me n? il solstizio toglie qualcosa alle notti, n? mi rende brevi i giorni l'inverno: certamente per me si ? del tutto mutata la natura e fa che tutto divenga lungo insieme alle mie pene. O forse, mentre per tutti il tempo compie i suoi moti abituali, scorre pi? duro il tempo della mia vita, poich? mi tiene la riva dell'Eusino dal nome menzognero e la terra veramente sinistra del mare scitico? Minacciano feroci guerre innumeri genti all'intorno, che ritengono per s? vergognoso non vivere di rapina. Niente all'esterno ? sicuro: il colle stesso ? difeso da esigue mura e dalla natura del luogo. Quando meno lo si aspetta, come uccelli un nugolo di nemici piomba volando e lo si ? appena visto che spinge via la preda Spesso all'interno delle mura arrivano a porte chiuse frecce avvelenate che noi raccogliamo in mezzo alle vie. ? perci? raro chi osa coltivare i campi, e l'infelice con una mano ara, con l'altra tiene le armi. Con l'elmo in testa il pastore suona la sua zampogna, e invece del lupo le pavide pecore temono la guerra. Poco ci difendono le fortificazioni della rocca e all'interno tuttavia una folla barbara mescolata ai greci incute spavento. Poich? i barbari abitano confusi con noi senza alcuna distinzione e occupano anche la maggior parte delle case. E se anche non li temi, puoi averne orrore al vedere quei corpi coperti di pelli e da una lunga capigliatura. E anche quelli che si crede siano discesi da una citt? greca, anzich? il vestito patrio portano le brache persiane. Essi parlano tra loro una lingua comune: e attraverso i gesti io debbo farmi capire. Qui il barbaro sono io, che nessuno capisce, e stolidi i Geti ridono alle parole latine, e in mia presenza e senza timore parlano spesso male di me e mi rinfacciano forse l'esilio; e contro di me rimuginano qualcosa se, quando parlano, faccio cenno, come avviene, di negare o approvare. Si aggiunga che si amministra con la rigida spada una ingiusta giustizia e che il sangue scorre spesso in mezzo alla piazza. O dura Lachesi che, essendo cos? funesta la mia stella, non ha dato un filo pi? breve alla mia vita! Non vedere il volto della patria e il vostro volto, o amici, ed essere qui in mezzo alle genti scitiche ? il mio lamento, l'una e l'altra dura pena. Ho meritato s? di essere lontano da Roma, ma non ho meritato forse di vivere in un tale luogo. Ah, che dico mai, folle che sono? Io ero degno di perdere anche la vita per avere offeso il nume di Cesare.
Trad. database progettovidio
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• Tristia... Re: Tristia...
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