Data: 
                          15/04/2002 22.11.22
                          
                        
 
 
  
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                        Orazio, Odi, I, 5-6 [le traduzioni sono sotto gli originali]
  Quis multa gracilis te puer in rosa  perfusus liquidis urget odoribus  grato, Pyrrha, sub antro?  cui flauam religas comam,  5  simplex munditiis? Heu quotiens fidem  mutatosque deos flebit et aspera  nigris aequora uentis  emirabitur insolens,  qui nunc te fruitur credulus aurea,  10  qui semper uacuam, semper amabilem  sperat, nescius aurae  fallacis. Miseri, quibus  intemptata nites. Me tabula sacer  uotiua paries indicat uuida  15  suspendisse potenti  uestimenta maris deo. 
  5, a Pirra Chi ?, Pirra, il giovane sottile che ti stringe, umido di profumi, sul letto di rose della tua grotta? per chi con grazia misurata annodi i tuoi capelli biondi? Quanto dovr? lamentare la tua infedelt?, l'avversit? degli dei e osservare stupito le acque agitate da un vento oscuro, se ora senza sospetto ti gode dorata e sempre libera ti spera, degna d'amore, ignaro dell'inganno che respira. Sventura a chi risplendi sconosciuta. Per me su una parete sacra la tavola votiva testimonia che al dio potente del mare le vesti bagnate ho consegnato.
 
  VI  Scriberis Vario fortis et hostium  uictor, Maeonii carminis alite,  quam rem cumque ferox nauibus aut equis  miles te duce gesserit.  5  Nos, Agrippa, neque haec dicere nec grauem  Pelidae stomachum cedere nescii,  nec cursus duplicis per mare Vlixei  nec saeuam Pelops domum  conamur, tenues grandia, dum pudor  10  inbellisque lyrae Musa potens uetat  laudes egregii Caesaris et tuas  culpa deterere ingeni.  Quis Martem tunica tectum adamantina  digne scripserit aut puluere Troico  15  nigrum Merionen aut ope Palladis  Tydiden superis parem?  Nos conuiuia, nos proelia uirginum  sectis in iuuenes unguibus acrium  cantamus, uacui siue quid urimur  20  non praeter solitum leues.
  6, ad Agrippa Sulle ali del canto meonio Vario potr? celebrare il tuo coraggio, le tue vittorie sul nemico e le prodezze compiute in terra e in mare dai soldati al tuo comando. Io non oso cantare tutto questo, Agrippa, n? l'ira terribile e ostinata di Achille, le traversie per mare dell'astuto Ulisse, n? gli orrori della casa di P?lope: troppo per i miei limiti; il riserbo e la Musa, che in sordina modula la mia poesia, mi vietano di svilire, per vizio d'ingegno, la tua e la gloria ineguagliabile di Cesare. Chi altri ancora potrebbe celebrare degnamente Marte chiuso nello splendore delle armi, Merione nero della polvere di Troia, o Diomede simile a un dio per mano di Pallade? Io, io canto i banchetti, l'accanirsi incruento delle liti fra giovani e fanciulle, sia che frivolo come sono io bruci o sia vuoto d'amore.
  Trad. database progettovidio 
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