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Bukowski
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Data:
20/05/2002 4.07.42
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Seneca, De Ira, III, 6 [la traduzione ? sotto il testo latino]
VI. 1. Nullum est argumentum magnitudinis certius quam nihil posse quo instigeris accidere. Pars superior mundi et ordinatior ac propinqua sideribus nec in nubem cogitur nec in tempestatem inpellitur nec uersatur in turbinem; omni tumultu caret: inferiora fulminantur. Eodem modo sublimis animus, quietus semper et in statione tranquilla conlocatus, omnia infra se premens quibus ira contrahitur, modestus et uenerabilis est et dispositus; quorum nihil inuenies in irato. 2. Quis enim traditus dolori et furens non primam reiecit uerecundiam? Quis impetu turbidus et in aliquem ruens non quidquid in se uenerandi habuit abiecit? Cui officiorum numerus aut ordo constitit incitato? Quis linguae temperauit? Quis ullam partem corporis tenuit? Quis se regere potuit inmissum? 3. Proderit nobis illud Democriti salutare praeceptum, quo monstratur tranquillitas si neque priuatim neque publice multa aut maiora uiribus nostris egerimus. Numquam tam feliciter in multa discurrenti negotia dies transit ut non aut ex homine aut ex re offensa nascatur quae animum in iras paret. 4. Quemadmodum per frequentia urbis loca properanti in multos incursitandum est et aliubi labi necesse est, aliubi retineri, aliubi respergi, ita in hoc uitae actu dissipato et uago multa inpedimenta, multae querellae incidunt: alius spem nostram fefellit, alius distulit, alius intercepit; non ex destinato proposita fluxerunt. 5. Nulli fortuna tam dedita est ut multa temptanti ubique respondeat; sequitur ergo ut is cui contra quam proposuerat aliqua cesserunt inpatiens hominum rerumque sit, ex leuissimis causis irascatur nunc personae, nunc negotio, nunc loco, nunc fortunae, nunc sibi. 6. Itaque ut quietus possit esse animus, non est iactandus nec multarum, ut dixi, rerum actu fatigandus nec magnarum supraque uires adpetitarum. Facile est leuia aptare ceruicibus et in hanc aut illam partem transferre sine lapsu, at quae alienis in nos manibus inposita aegre sustinemus, uicti in proximo effundimus; etiam dum stamus sub sarcina, inpares oneri uacillamus.
6,1. Non c'? prova di grandezza pi? certa, del fatto che non ? possibile accada alcunch?, da cui tu sia istigato. La parte superiore del mondo pi? ordinata e vicina alle stelle, non si addensa in nuvole n? ? spinta a provocare un temporale, n? gira in turbinio: di ogni sconvolgimento ? priva. Le parti basse ricevono i fulmini. Allo stesso modo, un animo sublime, quieto sempre ? collocato in un posto di tappa tranquillo, ogni cosa, da cui viene suscitata l'ira, premendo sotto di s?, ? moderato e venerabile e ben ordinato. 2. Di ci? nulla troverai nell'irato. Chi infatti, consegnato al dolore e furibondo, non ? solito rigettare il primo senso del rispetto dovuto? chi, fatto torbido dallo slancio aggressivo e precipitandosi contro un altro, non ha gettato via tutto ci? che in s? ha avuto di rispettabile? Per chi, messo in agitazione, rimasero immutati numero e sequenza dei doveri? chi ha frenato la lingua? Chi ha tenuto sotto controllo qualche parte del corpo? chi fu in condizione di governarsi, una volta lanciato? 3. Ci sar? utile quel salutare precetto di Democrito, in cui viene mostrata la tranquillit?, nel caso in cui n? privatamente n? pubblicamente noi condurremo molte cose e maggiori delle nostre forze. Mai con tanto successo trascorre la giornata a chi corre qua e l? verso molte incombenze, senza che o da uomo o da una cosa nasca qualche contrariet?, che prepari l'animo a motivi d'ira. 4. Come colui che si affretta per i luoghi affollati della citt?, necessariamente deve urtare contro molte persone ed in un luogo scivolare, in un altro impigliarsi, in un altro infangarsi, cos?, in questa attivit? di vita dispersiva e vagabonda, molti impicci, molte lamentele cadono addosso: uno ha ingannato la nostra speranza, un altro l'ha rinviata, un altro l'ha sottratta; non in base ai progetti, ci? che ci si era proposto, ? riuscito. 5. A nessuno la fortuna ? cos? dedita, da rispondere ovunque a chi pone mano a molte cose: ne consegue, che colui, al quale certe cose risultarono al contrario di come se le era proposte, non sopporti uomini e cose, per motivi leggerissimi si adiri, ora con una persona ora con un affare ora con un luogo, ora con la fortuna ora con s? stesso. 6. Pertanto, a ch? l'animo possa essere quieto, non bisogna sballottarlo n? affaticarlo con l'agire, come ho detto, in molte cose n? in quelle grandi e desiderate al di sopra delle forze. ? facile adattare al collo cose leggere e trasferirle a questa o a quella parte, senza pericolo di scivolare; al contrario, quelle che ci sono state messe addosso da mani altrui, noi a fatica le sosteniamo, vinti le spargiamo l? vicino. Anche quando stiamo in piedi sotto la soma, impari al peso vacilliamo.
Trad. Mondadori
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• traduzione Re: traduzione
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