Data:
21/05/2002 15.53.25
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Tacito, Annales, XV, 40-42 [la traduzione ? sotto il testo latino]
[40] Sexto demum die apud imas Esquilias finis incendio factus, prorutis per immensum aedificiis, ut continuae violentiae campus et velut vacuum caelum occurreret. necdum pos[i]t[us] metus aut redierat [p]lebi s[pes]: rursum grassatus ignis, patulis magis urbis locis; eoque strages hominum minor: delubra deum et porticus amoenitati dicatae latius procidere. plusque infamiae id incendium habuit, quia praediis Tigellini Aemilianis proruperat videbaturque Nero condendae urbis novae et cognomento suo appellandae gloriam quaerere. quippe in regiones quattuordecim Romam dividitur, quarum quattuor integrae manebant, tres solo tenus deiectae, septem reliquis pauca tectorum vestigia supererant, lacera et semusta. [41] Domum et insularum et templorum, quae amissa sunt, numerum inire haud promptum fuerit; sed vetustissima religione, quod Servius Tullius Lunae, et magna ara fanumque, quae praesenti Herculi Arcas Evander sacraverat, aedesque Statoris Iovis vota Romulo Numaeque regia et delubrum Vestae cum penatibus populi Romani exusta; iam opes tot victoriis quaesitae et Graecarum artium decora, exim monumenta ingeniorum antiqua et incorrupta, [ut] quamvis in tanta resurgentis urbis pulchritudine multa seniores meminerint, quae reparari nequibant. fuere qui adnotarent XIIII Kal. Sextiles principium incendii huius ortum, quo et Seneones captam urbem inflammaverint. alii eo usque cura progressi sunt, ut totidem annos, mensesque et dies inter utraque incendia numer[ar]ent. [42] Ceterum Nero usus est patriae ruinis exstruxitque domum, in qua haud proinde gemmae et aurum miraculo essent, solita pridem et luxu vulgata, quam arva et stagna et in modum solitudinem hinc silvae, inde aperta spatia et prospetus, magistris et machinatoribus Severo et Celere, quibus ingenium et audacia erat etiam, quae natura denegavisset, per artem temptare et viribus principis inludere. namque ab lacu Averno navigabilem fossam usque ad ostia Tibernia depressuros promiserant squalenti litore aut per montes adversos. neque enim aliud umidum gignendis aquis occirrit quam Pomptinae paludes: cetera abrupta aut arentia, ac si perrumpi possent, intolerandus labor nec satis causae. Nero tamen, ut erat incredibilium cupitor, effodere proxima Averno iuga conisus est, manentque vestigia inritae spei.
40. Al sesto giorno finalmente l'incendio fu domato alle pendici dell'Esquilino, dopo aver abbattuto, su una grande estensione, tutti gli edifici, per opporre alla ininterrotta violenza devastatrice uno spazio sgombro e, per cos? dire, il vuoto cielo. Non era ancora cessato lo spavento n? rinata una debole speranza: di nuovo il fuoco divamp? in luoghi della citt? pi? aperti; ci? determin? un numero di vittime inferiore, ma pi? vasto fu il crollo di templi degli d?i e di porticati destinati allo svago. Questo secondo incendio provoc? commenti ancora pi? aspri, perch? era scoppiato nei giardini Emiliani, propriet? di Tigellino, e si aveva la sensazione che Nerone cercasse la gloria di fondare una nuova citt? e di darle il suo nome. Infatti dei quattordici quartieri in cui ? ancora divisa Roma, ne rimanevano intatti quattro, con tre rasi al suolo e degli altri sette restavano pochi relitti di case, mezzo diroccate e semiarse. 41. Calcolare il numero delle case, degli isolati e dei templi andati distrutti non ? facile: fra i templi di pi? antico culto bruciarono quello di Servio Tullio alla Luna, la grande ara e il tempietto che l'arcade Evandro aveva consacrato, in sua presenza, a Ercole, il tempio votato a Giove Statore da Romolo e la reggia di Numa e il delubro di Vesta coi penati del popolo romano; e poi le ricchezze accumulate con tante vittorie, e capolavori dell'arte greca e i testi antichi e originali dei grandi nomi della letteratura, sicch?, anche nella straordinaria bellezza della citt? che risorgeva, i vecchi ricordavano molti capolavori ora non pi? sostituibili. Ci fu chi osserv? che l'incendio era scoppiato il diciannove di luglio, lo stesso giorno in cui i Senoni presero Roma e la diedero alle fiamme. Altri giunsero a calcoli cos? maniacali da stabilire che tra i due incendi erano trascorsi lo stesso numero di anni, di mesi e di giorni. 42. Sfrutt? Nerone la rovina della patria per costruirsi un palazzo, in cui destassero meraviglia non tanto le pietre preziose e l'oro, di normale impiego anche prima, in uno sfoggio generalizzato, quanto prati e laghetti e, a imitazione di una natura selvaggia, da una parte boschi, dall'altra distese apriche e vedute panoramiche, il tutto opera di due architetti, Severo e Celere, che avevano avuto l'audacia intellettuale di creare con l'artificio ci? che la natura aveva negato, sperperando le risorse del principe. Avevano, infatti, promesso di scavare un canale navigabile dal lago Averno fino alle foci del Tevere, attraverso spiagge desolate e l'ostacolo dei monti. Non esiste, infatti, altro terreno acquitrinoso da cui derivare le acque, se non le paludi pontine: tutto il resto ? scosceso e arido e, se si fosse potuto aprire un passaggio, la fatica sarebbe stata tremenda e sproporzionata. Tuttavia Nerone, nella sua smania di cose impossibili, tent? degli scavi nelle alture vicine all'Averno, e restano le tracce di questo progetto irrealizzato.
Trad. database progettovidio
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