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...:::Bukowski:::...
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25/05/2002 4.22.52
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Livio, Storia di Roma, XIII (periocha)
Valerius Laeuinus cos. parum prospere aduersus Pyrrhum pugnauit, elephantorum maxime inusitata facie territis militibus. Post id proelium cum corpora Romanorum qui in acie ceciderant, Pyrrhus inspiceret, omnia uersa in hostem inuenit populabundusque ad urbem Romanam processit. C. Fabricius missus ad eum a senatu, ut de redimendis captiuis ageret, frustra ut patriam desereret a rege temptatus est. Captiui sine pretio remissi sunt. Cineas legatus a Pyrrho ad senatum missus petiit ut conponendae pacis causa rex in urbem reciperetur. De qua re cum ad frequentiorem senatum referri placuisset, Appius Claudius, qui propter ualetudinem oculorum iam diu consiliis publicis se abstinuerat, uenit in curiam et sententia sua tenuit ut id Pyrrho negaretur.
Cn. Domitius censor primus ex plebe lustrum condidit. Censa sunt ciuium capita CCLXXXVII milia CCXXII. Iterum aduersus Pyrrhum dubio euentu pugnatum est.
Cum Carthaginiensibus quarto foedus renouatum est.
Cum C. Fabricio consuli is qui ad eum a Pyrrho transfugerat, polliceretur uenenum se regi daturum, cum indicio ad regem remissus est.
Res praeterea contra Lucanos et Bruttios, Samnites et Etruscos prospere gestas continet.
XIII. Il console Valerio Levino combatt? con scarso successo contro Pirro, soprattutto perch? i soldati furono sconvolti dall'aver visto per la prima volta gli elefanti. Dopo questa battaglia, Pirro guardando i corpi dei Romani che erano caduti sul campo di battaglia, li trov? tutti rivolti con la fronte al nemico. Di devastazione in devastazione giunse fino alle vicinanze di Roma. Gaio Fabrizio, mandato dal senato a incontrarlo per trattare il riscatto dei prigionieri, fu invano tentato dal re a disertare dalla sua patria. I prigionieri furono restituiti senza riscatto. Cinea, mandato come ambasciatore da Pirro al senato, chiese che il re fosse accolto in citt? con lo scopo di arrivare ad un trattato di pace. Essendosi deciso di rimandare la questione ad una seduta del senato con maggiori presenze, Appio Claudio, che gi? da tempo a causa di una malattia agli occhi non frequentava le assemblee pubbliche, si rec? in Curia dove espresse suo parere e ottenne che quell'ingresso fosse negato a Pirro. Gneo Domizio, fu il primo censore plebeo a celebrare un lustro; furono censiti duecentottantasettemiladuecentoventidue cittadini. Ci fu una nuova battaglia contro Pirro, dall'esito incerto. Fu rinnovato per la quarta volta il trattato con i Cartaginesi. Uno che aveva disertato da Pirro ed era passato dalla parte del console Gaio Fabrizio, promise a quest'ultimo di far bere del veleno al re, ma fu rimandato al re assieme ad una denuncia del tradimento. Questo libro contiene anche le guerre sostenute contro i Lucani, i Bruzi, i Sanniti, gli Etruschi con esito fortunato.
Livio, Storia di Roma, XX (periocha)
Falisci cum rebellassent, sexto die perdomiti in deditionem uenerunt.
Spoletium colonia deducta est.
Aduersus Liguras tunc primum exercitus promotus est.
Sardi et Corsi cum rebellassent, subacti sunt.
Tuccia, uirgo Vestalis, incesti damnata est.
Bellum Illyriis propter unum ex legatis, qui ad eos missi erant, occisum indictum est, subactique in deditionem uenerunt. Praetorum numerus ampliatus est ut essent IIII.
Galli transalpini, qui in Italiam inruperant, caesi sunt. Eo bello populum R. sui Latinique nominis DCCC milia armatorum habuisse dicit. Exercitibus Romanis tunc primum trans Padum ductis Galli Insubres aliquot proeliis fusi in deditionem uenerunt. M. Claudius Marcellus cos. occiso Gallorum Insubrium duce, Vertomaro, opima spolia rettulit. Histri subacti sunt.
Iterum Illyrii cum rebellassent, domiti in deditionem uenerunt.
Lustrum a censoribus ter conditum est. Primo lustro censa sunt ciuium capita CCLXX milia CCXII.
Libertini in quattuor tribus redacti sunt, cum antea dispersi per omnes fuissent, Esquilinam, Palatinam, Suburanam, Collinam. C. Flaminius censor uiam Flaminiam muniit et circum Flaminium exstruxit.
Coloniae deductae sunt in agro de Gallis capto Placentia et Cremona.
XX. Avendo i Falisci ripreso la guerra, furono sconfitti in una campagna di sei giorni e si arresero. Fu dedotta la colonia di Spoleto. Allora per la prima volta fu condotto un esercito contro i Liguri. Fu domata una ribellione di Sardi e Corsi. Thccia, vergine vestale, fu condannata per un delitto contro la castit?. Fu dichiarata guerra agli Illiri, in seguito all'uccisione di uno degli ambasciatori che erano stati mandati presso quel popolo: furono sottomessi e fu raccolto il loro atto di resa. Fu allargato il numero dei pretori, portando il totale a quattro. Furono sterminati i Galli Transalpini che avevano invaso l'Italia. Livio afferma che in quella guerra il popolo romano insieme alla nazione latina mise in campo ottocentomila uomini. Allora per la prima volta furono condotti degli eserciti romani oltre il Po e i Galli Insubri, sbaragliati in pi? scontri, si arresero. Il console Marco Claudio MarcelIo, avendo ucciso Viridomaro, comandante dei Galli Insubri, riport? le spoglie opime. Furono soggiogati gli Istri. Parimenti gli Illiri, che si erano ribellati, furono battuti e costretti alla resa. I censori celebrarono tre volte il rito lustrale; durante il primo censimento furono censiti duecentosettantamiladuecentododici cittadini. I liberti furono concentrati in quattro trib? (l'Esquilina, la Palatina, la Suburrana, la Collina) mentre prima erano distribuiti in tutte. Il censore Gaio Flaminio apr? la via Flaminia e costru? il circo Flaminio. Furono dedotte, nel territorio strappato ai Galli, le colonie di Piacenza e Cremona.
Livio, Storia di Roma, XXIII, 1
[1] Hannibal post Cannensem pugnam [castraque] capta ac direpta confestim ex Apulia in Samnium mouerat, accitus in Hirpinos a Statio [Trebio] pollicente se Compsam traditurum. Compsanus erat Trebius nobilis inter suos; sed premebat eum Mopsiorum factio, familiae per gratiam Romanorum potentis. Post famam Cannensis pugnae uolgatumque Trebi sermonibus aduentum Hannibalis cum Mopsiani urbe excessissent, sine certamine tradita urbs Poeno praesidiumque acceptum est. Ibi praeda omni atque impedimentis relictis, exercitu partito Magonem regionis eius urbes aut deficientes ab Romanis accipere aut detractantes cogere ad defectionem iubet, ipse per agrum Campanum mare inferum petit, oppugnaturus Neapolim, ut urbem maritimam haberet. Vbi fines Neapolitanorum intrauit, Numidas partim in insidiis?et pleraeque cauae sunt uiae sinusque occulti?quacumque apte poterat disposuit, alios prae se actam praedam ex agris ostentantes obequitare portis iussit. In quos, quia nec multi et incompositi uidebantur, cum turma equitum erupisset, ab cedentibus consulto tracta in insidias circumuenta est; nec euasisset quisquam, ni mare propinquum et haud procul litore naues, piscatoriae pleraeque, conspectae peritis nandi dedissent effugium. Aliquot tamen eo proelio nobiles iuuenes capti caesique, inter quos et Hegeas, praefectus equitum, intemperantius cedentes secutus cecidit. Ab urbe oppugnanda Poenum absterruere conspecta moenia haudquaquam prompta oppugnanti.
1. Annibale, dopo la battaglia di Canne e la presa e il saccheggio degli accampamenti nemici, si era rapidamente trasferito dall' Apulia nel Sannio poich? lo aveva chiamato nel territorio degli Irpini Stazio Trebio che gli prometteva di consegnargli Compsa. Trebio era originario di quella cittadella e faceva parte della nobilt? locale. Egli aveva sempre subito la supremazia del partito legato alla famiglia dei Mopsii, diventata potente grazie al favore di Roma. Dopo la notizia della battaglia di Canne ed essendosi diffusa ad opera di Trebio la voce che stava arrivando Annibale, i Mopsiani si erano allontanati dalla citt? e cos? questa fu consegnata al condottiero cartaginese senza colpo ferire. A Compsa fu anche accolto un presidio. Lasciati qui tutti i bagagli e tutto il bottino, Annibale provvide a dividere l'esercito e incaric? Magone di andare a raccogliere la resa delle citt? di quella regione: o si con- segnavano spontaneamente o, in caso di resistenza alla defezione, dovevano essere costrette. Egli, per parte sua, attraversa il territorio campano dirigendosi verso il mare infero, con l'intenzione di portare il suo assalto a Napoli per avere il controllo di una citt? portuale. Appena entrato nel territorio di Napoli, sparpagli? dei Numidi - ovunque la conformazione del terreno andasse bene per i suoi scopi - in luoghi che si prestavano a delle imboscate (la maggior parte delle strade attraversa delle gole formando anche curve che impediscono la visuale). Ad altri Numidi ordin? di cavalcare davanti alle porte spingendo davanti a s? ed esibendo il bottino catturato nei campi. Uno squadrone di cavalleria tent? una sortita contro i Numidi che apparivano poco numerosi e scollegati tra loro ma fu attirato in una imboscata dai nemici che di proposito attuavano una graduale ritirata. Non sarebbe riuscito a tirarsene fuori nessuno se il vicino mare e dei barconi (per lo pi? adibiti alla pesca e visibili non lontano dalla piaggia) non avessero offerto una via di scampo a chi sapeva nuotare. Tuttavia in quella scaramuccia furono catturati o uccisi alcuni giovani nobili; tra i caduti ci fu anche Egea, prefetto della cavalleria, che troppo impetuosamente si era gettato all'inseguimento dei nemici che ripiegavano. Ma la visione delle mura, che non si presentavano certo facilmente aggredibili, dissuase Annibale dal tentare l'attacco.
Livio, Storia di Roma, XXV, 7
[7] Sub haec dicta ad genua Marcelli procubuerunt. Marcellus id nec iuris nec potestatis suae esse dixit; senatui scripturum se omniaque de sententia patrum facturum esse. eae litterae ad nouos consules allatae ac per eos in senatu recitatae sunt; consultusque de iis litteris ita decreuit senatus: militibus, qui ad Cannas commilitones suos pugnantes deseruissent, senatum nihil uidere cur res publica committenda esset. si M. Claudio proconsuli aliter uideretur, faceret quod e re publica fideque sua duceret, dum ne quis eorum munere uacaret neu dono militari uirtutis ergo donaretur neu in Italiam reportaretur donec hostis in terra Italia esset. comitia deinde a praetore urbano de senatus sententia plebique scitu sunt habita, quibus creatis sunt quinqueuiri muris turribus reficiendis et triumuiri bini, uni sacris conquirendis donisque persignandis, alteri reficiendis aedibus Fortunae et matris Matutae intra portam Carmentalem et Spei extra portam, quae priore anno incendio consumptae fuerant. tempestates foedae fuere; in Albano monte biduum continenter lapidibus pluuit; tacta de caelo multa, duae in Capitolio aedes, uallum in castris multis locis supra Suessulam, et duo uigiles exanimati; murus turresque quaedam Cumis non ictae modo fulminibus sed etiam decussae. Reate saxum ingens uisum uolitare, sol rubere solito magis sanguineoque similis. horum prodigiorum causa diem unum supplicatio fuit et per aliquot dies consules rebus diuinis operam dederunt et per eosdem dies sacrum nouendiale fuit. cum Tarentinorum defectio iam diu et in spe Hannibali et in suspicione Romanis esset, causa forte extrinsecus maturandae eius interuenit. Phileas Tarentinus diu iam per speciem legationis Romae cum esset, uir inquieti animi et minime otium, quo tum diutino senescere uidebatur, patientis, aditum sibi ad obsides Thurinos <et> Tarentinos inuenit. custodiebantur in atrio Libertatis minore cura, quia nec ipsis nec ciuitatibus eorum fallere Romanos expediebat. hos crebris conloquiis sollicitatos corruptis aedituis duobus cum primis tenebris custodia eduxisset, ipse comes occulti itineris factus profugit. luce prima uolgata per urbem fuga est missique qui sequerentur ab Tarracina comprensos omnes retraxerunt. deducti in comitium uirgisque approbante populo caesi de saxo deiciuntur.
7. Dopo aver cos? parlato, si gettarono davanti alle ginocchia di Marcello il quale afferm? che su quella questione egli non aveva n? diritto n? potere; avrebbe scritto al senato e poi avrebbe fatto ogni cosa seguendo le decisioni dei senatori. Quelle lettere furono recate ai consoli appena nominati i quali le lessero ad alta voce in senato. Il senato, consultato sulle richieste di quelle lettere, prese queste decisioni: il senato non ravvisava un solo motivo per affidare la repubblica a dei soldati che a Canne avevano abbandonato i propri commilitoni impegnati nel combattimento. Se il proconsole Marco Claudio fosse stato di parere diverso, facesse ci? che riteneva conforme all'interesse della repubblica e alla sua lealt?. In ogni caso nessuno di quei soldati doveva godere di licenze, doveva ricevere qualche decorazione militare al valore o essere ricondotto in Italia, per tutto il tempo che il nemico fosse stato sul territorio italico. Poi il pretore urbano presiedette, in conformit? alle decisioni del senato e alla deliberazione della plebe, i comizi che elessero un collegio quinquemvirale incaricato del restauro di mura e torri, e due collegi triumvirali: uno doveva occuparsi della ricerca degli oggetti sacri e della registrazione dei doni, l'altro della ricostruzione del tempio della Fortuna, della Madre Matuta, entro la porta Carmentale, e della Speranza, fuori della porta: erano i danni procurati dall'incendio dell'anno precedente. Vi furono poi tempeste, interpretate come segni di cattivo augurio: sul monte Albano, ininterrottamente per due giorni, piovvero pietre; molti luoghi furono colpiti da fulmini: due templi sul Campidoglio e, in pi? punti, il vallo degli accampamenti sopra Suessula; inoltre morirono due sentinelle; a Cuma, un muro e alcune torri non solo furono colpiti dai fulmini ma anche abbattuti; a Rieti un grosso sasso fu visto librarsi in cielo e il sole apparve pi? rosso del solito, di colore simile a quello del sangue. Per espiare questi prodigi si tenne una supplica di un giorno e per alcuni giorni i consoli si dedicarono ai sacri riti. Contemporaneamente si tenne un rito espiatorio di nove giorni. L'evenienza di una defezione da parte di Taranto era da tempo sperata da Annibale e sospettata dai Romani: essa venne a maturare per un caso fortuito prodottosi dall'esterno. Il tarentino Filea si trovava gi? da tempo a Roma, con la scusa di una ambasceria; era uomo inquieto il quale non poteva sopportare l'inattivit? che durava gi? da un pezzo e nella quale gli pareva di invecchiare: fin? col trovare il modo di avvicinare gli ostaggi di Taranto e di Turi, che erano tenuti nell'atrio della Libert?, sotto custodia piuttosto blanda perch? non conveniva n? a loro n? alle loro citt? eludere la sorveglianza romana. Ti aizz? con sempre pi? incalzanti discorsi, riuscendo anche a corrompere i custodi del tempio e le guardie; li fece evadere sul far della notte e fu loro compagno di fuga in quel viaggio clandestino. All'alba si diffuse in citt? la notizia della fuga: furono mandati ad inseguirli degli uomini che li catturarono a Terracina e li riportarono tutti indietro. Condotti nel comizio e presi a nerbate tra l'approvazione del popolo, furono precipitati dalla rupe Tarpea.
Livio, Storia di Roma, XXIX, 6-7
[6] Post reditum ex Africa C. Laeli et Scipione stimulato Masinissae adhortationibus et militibus praedam ex hostium terra cernentibus tota classe efferri accensis ad traiciendum quam primum, interuenit maiori minor cogitatio Locros urbem recipiendi, quae sub defectionem Italiae desciuerat et ipsa ad Poenos. spes autem adfectandae eius rei ex minima re adfulsit. latrociniis magis quam iusto bello in Bruttiis gerebantur res, principio ab Numidis facto et Bruttiis non societate magis Punica quam suopte ingenio congruentibus in eum morem; postremo Romani quoque milites iam contagione quadam rapto gaudentes, quantum per duces licebat, excursiones in hostium agros facere. ab iis egressi quidam urbe Locrenses circumuenti Regiumque abstracti fuerant. in eo captiuorum numero fabri quidam fuere, adsueti forte apud Poenos mercede opus in arce Locrorum facere. hi cogniti ab Locrensium principibus qui pulsi ab aduersa factione, quae Hannibali Locros tradiderat, Regium se contulerant, cum cetera percontantibus, ut mos est qui diu absunt, quae domi agerentur exposuissent, spem fecerunt si redempti ac remissi forent arcem se iis tradituros; ibi se habitare fidemque sibi rerum omnium inter Carthaginienses esse. itaque, ut qui simul desiderio patriae angerentur simul cupiditate inimicos ulciscendi arderent, redemptis extemplo iis remissisque cum ordinem agendae rei composuissent signaque quae procul edita obseruarent, ipsi ad Scipionem Syracusas profecti, apud quem pars exsulum erat, referentes ibi promissa captiuorum cum spem ab effectu haud abhorrentem consuli fecissent, tribuni militum cum iis M. Sergius et P. Matienus missi iussique ab Regio tria milia militum Locros ducere; et Q. Pleminio propraetori scriptum ut rei agendae adesset.
Profecti ab Regio, scalas ad editam altitudinem arcis fabricatas portantes, media ferme nocte ex eo loco unde conuenerat signum dedere proditoribus arcis; qui parati intentique et ipsi scalas ad id ipsum factas cum demisissent pluribusque simul locis scandentes accepissent, priusquam clamor oreretur in uigiles Poenorum, ut in nullo tali metu sopitos, impetus est factus. quorum gemitus primo morientium exauditus, deinde subita consternatio ex somno et tumultus cum causa ignoraretur, postremo certior res aliis excitantibus alios. iamque ad arma pro se quisque uocabat: hostes in arce esse et caedi uigiles; oppressique forent Romani nequaquam numero pares, ni clamor ab iis qui extra arcem erant sublatus incertum unde accidisset omnia uana augente nocturno tumultu fecisset. itaque uelut plena iam hostium arce territi Poeni omisso certamine in alteram arcem--duae sunt haud multum inter se distantes--confugiunt. oppidani urbem habebant, uictoribus praemium in medio positam; ex arcibus duabus proeliis cottidie leuibus certabatur. Q. Pleminius Romano, Hamilcar Punico praesidio praeerat. arcessentes ex propinquis locis subsidia copias augebant: ipse postremo ueniebat Hannibal, nec sustinuissent Romani nisi Locrensium multitudo, exacerbata superbia atque auaritia Poenorum, ad Romanos inclinasset.
[7] Scipioni ut nuntiatum est in maiore discrimine Locris rem uerti ipsumque Hannibalem aduentare, ne praesidio etiam periclitaretur haud facili inde receptu, et ipse a Messana L. Scipione fratre in praesidio ibi relicto cum primum aestu fretum inclinatum est ~naues mari secundo misit. et Hannibal a Buloto amni--haud procul is ab urbe Locris abest--nuntio praemisso ut sui luce prima summa ui proelium cum Romanis ac Locrensibus consererent dum ipse auersis omnibus in eum tumultum ab tergo urbem incautam adgrederetur, ubi luce coeptam inuenit pugnam, ipse nec in arcem se includere, turba locum artum impediturus, uoluit, neque scalas quibus scanderet muros attulerat. sarcinis in aceruum coniectis cum haud procul muris ad terrorem hostium aciem ostendisset, cum equitibus Numidis circumequitabat urbem, dum scalae quaeque alia ad oppugnandum opus erant parantur, ad uisendum qua maxime parte adgrederetur: progressus ad murum scorpione icto qui proximus eum forte steterat, territus inde tam periculoso casu receptui canere cum iussisset, castra procul ab ictu teli communit. classis Romana a Messana Locros aliquot horis multo die superante accessit; expositi omnes e nauibus et ante occasum solis urbem ingressi sunt.
Postero die coepta ex arce a Poenis pugna, et Hannibal iam scalis aliisque omnibus ad oppugnationem paratis subibat muros cum repente in eum nihil minus quam tale quicquam timentem patefacta porta erumpunt Romani. ad ducentos, improuidos cum inuasissent, occidunt: ceteros Hannibal, ut consulem adesse sensit, in castra recipit, nuntioque misso ad eos qui in arce erant ut sibimet ipsi consulerent nocte motis castris abiit. et qui in arce erant igni iniecto tectis quae tenebant ut is tumultus hostem moraretur, agmen suorum fugae simili cursu ante noctem adsecuti sunt.
Dopo il ritorno di Gaio Lelio dall'Africa, Scipione si sent? spronato dalle esortazioni di Masinissa e anche i soldati, vedendo come la flotta intera trasportasse bottino dal territorio nemico, erano invogliati a trasferirsi in Africa quanto prima; tuttavia al grande progetto se ne sovrappose uno di pi? piccolo, quello di riprendere la citt? di Locri, che al tempo della defezione dell'Italia, era a sua volta passata dalla parte dei Cartaginesi. La speranza di riuscire in quell'impresa fu fatta balenare da un evento di importanza molto secondaria: nel territorio dei Bruzi si guerreggiava pi? per mezzo di rapine che di una guerra regolare; avevano iniziato i Numidi e poi i Bruzi si erano adeguati a quel modo di fare non tanto per l'alleanza con i Cartaginesi quanto per loro propria indole; in ultimo anche i soldati romani, quasi per contagio, si abituarono a godere delle rapine e si diedero a compiere delle incursioni nel territorio nemico, nei limiti di quanto loro consentito dai comandanti. Furono proprio loro a circondare e poi a trascinare a Reggio alcuni Locresi usciti dalla citt?. In mezzo a tutti quei prigionieri vi erano anche alcuni operai e caso volle che essi fossero abitualmente addetti a dei lavori pagati dai Cartaginesi nella rocca dei Locresi. Questi furono riconosciuti da alcuni maggiorenti locresi che dopo essere stati scacciati dal partito avversario - quello che aveva consegnato Locri ad Annibale - si erano rifugiati a Reggio; a chi - ? normale che questo accada a coloro i quali sono in esilio da lungo tempo - chiedeva cosa stesse accadendo in patria, raccontarono molte cose e poi fecero balenare la speranza che, se fossero stati riscattati e rimandati indietro, avrebbero loro consegnato la rocca: essi abitavano l? e i Cartaginesi riponevano in loro la pi? completa fiducia. Trovandosi nella condizione di coloro che ad un tempo erano angosciati dalla lontananza della patria e bruciavano da desiderio di vendicarsi dei nemici, riscattarono i prigionieri e li rimandarono indietro dopo aver concordato la successione della varie fasi del piano e i segnali che - fatti da grande distanza - dovevano essere per entrambi visibili. Poi, per parte loro, partirono alla volta di Siracusa per raggiungere Scipione, presso il quale si trovava una parte degli esuli, e riferendo gli impegni presi dai prigionieri fecero balenare al console una speranza che poteva tradursi facilmente in realt?: Scipione rimand? con loro i tribuni militari Marco Sergio e Publio Matieno i quali avevano ricevuto ordine di portare da Reggio a Locri tremila soldati; scrisse inoltre al propretore Quinto Pleminio perch? desse una mano al buon esito dell'impresa. Partirono da Reggio portando scale adatte all'altezza della rocca e circa alla mezzanotte diedero a coloro che dovevano consegnare la rocca il segnale convenuto: questi si tenevano pronti e attenti e calarono a loro volta le scale costruite proprio per questo scopo, accogliendo gli assalitori che salivano contemporaneamente da pi? parti; prima che cominciassero i rumori furono aggredite le sentinelle cartaginesi le quali, ben lontane dal paventare un fatto del genere, dormivano: dapprima si avvert? il rantolo della loro agonia, poi la sonnolenza si trasform? in repentino sbigottimento e in confusione perch? se ne ignorava il motivo; poi, quando la cosa ebbe contorni pi? precisi, ognuno si dava a svegliare i compagni. Gi? ognuno per conto suo dava l'allarme: i nemici erano gi? nella rocca e le sentinelle venivano massacrate. I Romani, troppo inferiori di numero, sarebbero stati a loro volta sopraffatti se le grida innalzate da coloro che stavano fuori della rocca non avessero creato incertezza circa il luogo da cui provenivano, nel notturno tumulto che ingigantiva ogni vana supposizione. E cos? i Cartaginesi, atterriti come se la rocca fosse piena di nemici, smisero di combattere e andarono a rifugiarsi nell'altra rocca (le rocche sono due, non molto distanti l'una dall'altra). Quanto agli abitanti, essi stavano nella citt?, posta nel mezzo come premio ai vincitori, mentre dalle due rocche si verificavano ogni giorno delle scaramucce. Quinto Pleminio comandava il contingente romano, Amilcare quello cartaginese: richiamando rinforzi dai luoghi vicini, aumentavano i loro effettivi. Alla fine prese a marciare su Locri Annibale in persona e i Romani non avrebbero potuto farvi fronte se la popolazione locrese, esasperata dall'arroganza e dall'avidit? dei Cartaginesi, non si fosse decisa a passare dalla parte dei Romani.
7. Scipione, quando gli fu annunziato che a Locri la situazione si stava avviando alla stretta finale e che lo stesso Annibale si stava avvicinando, per non far correre pericoli al presidio che aveva mandato l? e al quale non si aprivano facili vie alla ritirata, lasci? di guarnigione a Messina il fratello Lucio Scipione e non appena la corrente dello stretto fu favorevole, *** fece partire di fila flotta con buone condizioni di mare. Anche Annibale mand? avanti una staffetta dal fiume Buloto, che scorre non lontano dalla citt? di Locri, per far sl che i suoi preparassero per le prime luci dell'alba un violento attacco contro Locresi e Romani: nel frattempo, mentre l'attenzione di tutti fosse stata rivolta a quello scontro, egli avrebbe provveduto personalmente a cogliere la citt? indifesa alle spalle. Tuttavia, quando sorse il sole, trov? che la battaglia era gi? incominciata ed egli non volle andare a rinchiudersi nella rocca (con la folla dei suoi soldati avrebbe reso impraticabile un luogo di per s? gi? angusto); del resto non aveva nemmeno portato le scale per arrampicarsi sulle mura. Fatti ammucchiare i bagagli e dopo aver mostrato il suo esercito schierato non lontano dalle mura per generare panico tra i nemici, cavalca assieme ai cavalieri numidi tutto intorno alle mura, per scoprire il luogo che meglio si offriva ad un attacco; intanto venivano apprestate le scale e tutti gli attrezzi che servono a sferrare un assalto. Ma quando si avvicin? alle mura, il cavaliere che gli stava a fianco fu colpito da un colpo di scoprione ed egli, spaventato da un cos1 pericoloso incidente, fece suonare la ritirata andando a fortificare il campo fuori del tiro dei proiettili. La flotta romana proveniente da Messina approd? a Locri quando mancavano ancora parecchie ore al tramonto: sbarcarono tutti ed entrarono in citt? prima del cadere del sole. Il giorno dopo i Cartaginesi iniziarono la battaglia dalla loro rocca e gi? Annibale (che aveva apprestato le scale e tutti gli altri strumenti utili all'assalto) si avanzava sotto le mura, quando all'improvviso - tutto Annibale si sarebbe aspettato tranne un'azione simile - si spalanc? una porta e i Romani operarono una sortita. Piombando di sorpresa sui Cartaginesi ne uccisero circa duecento e quanto agli altri, Annibale, quando si rese conto della presenza del console, li ritir? nell'accampamento, mandando poi un messaggero a quelli che si trovavano nella rocca perch? cercassero di cavarsela da soli. Durante la notte smobilit? il campo e se ne and?. Quelli che si trovavano nella roccaforte, appiccato il fuoco alle case che occupavano allo scopo di far attardare i nemici con lo scompiglio che ne sarebbe seguito, prima di notte raggiunsero, con un ripiegamento tanto veloce da assomigliare ad una fuga, la colonna dei commilitoni.
Livio, Storia di Roma, XXXIV, 1
[1] Inter bellorum magnorum aut uixdum finitorum aut imminentium curas intercessit res parua dictu sed quae studiis in magnum certamen excesserit. M. Fundanius et L. Ualerius tribuni plebi ad plebem tulerunt de Oppia lege abroganda. tulerat eam C. Oppius tribunus plebis Q. Fabio Ti. Sempronio consulibus in medio ardore Punici belli, ne qua mulier plus semunciam auri haberet neu uestimento uersicolori uteretur neu iuncto uehiculo in urbe oppidoue aut propius inde mille passus nisi sacrorum publicorum causa ueheretur. M. et P. Iunii Bruti tribuni plebis legem Oppiam tuebantur nec eam se abrogari passuros aiebant; ad suadendum dissuadendumque multi nobiles prodibant; Capitolium turba hominum fauentium aduersantiumque legi complebatur. matronae nulla nec auctoritate nec uerecundia nec imperio uirorum contineri limine poterant, omnes uias urbis aditusque in forum obsidebant, uiros descendentes ad forum orantes ut florente re publica, crescente in dies priuata omnium fortuna matronis quoque pristinum ornatum reddi paterentur. augebatur haec frequentia mulierum in dies; nam etiam ex oppidis conciliabulisque conueniebant. iam et consules praetoresque et alios magistratus adire et rogare audebant; ceterum minime exorabilem alterum utique consulem M. Porcium Catonem habebant, qui pro lege quae abrogabatur ita disseruit:
1. Tra tutte le preoccupazioni che venivano dalle grandi guerre da cui Roma era appena uscita o che la minacciavano da vicino, si svolse una vicenda certo di non grande rilevanza ai fini del racconto, ma tale da degenerare, con l'accendersi degli animi, in un'aspra contesa. I tribuni della plebe Marco Fundanio e Lucio Valerio presentarono al popolo una legge tesa ad abrogare la legge appia. Questa legge era stata proposta dal tribuno della plebe Gaio Oppio, nell'anno in cui erano consoli Quinto Fabio e Tiberio Sempronio, proprio quando pi? divampava la guerra punica: secondo questa legge nessuna donna poteva possedere pi? di mezza oncia d'oro, indossare vestiti dai colori appariscenti, farsi portare in carrozza in Roma o in altre citt? o nel raggio di un miglio da esse se non per motivi legati a cerimonie religiose. I tribuni della plebe Marco e Publio Giunio Bruto difendevano la legge Oppia e proclamavano che non ne avrebbero mai accettato l'abrogazione; molti esponenti della nobilt? si facevano avanti parlando a favore della legge o contro di essa e tutto il Campidoglio era pieno di una folla di favorevoli e contrari alla legge. E le donne: non riuscirono a trattenerle in casa n? l'autorit?, n? il senso del pudore, n? le imposizioni dei loro mariti; avevano occupato tutte le strade della citt? e tutti gli accessi al Foro, chiedendo agli uomini i quali vi si recavano che consentissero, in un momento di grande floridezza della repubblica e di crescita continua e generale della ricchezza privata, che alle donne fossero restituiti i loro antichi ornamenti. Le donne si radunavano, di giorno in giorno, sempre pi? numerose arrivando perfino dalle citt? e dai luoghi di mercato dei dintorni. Ormai osavano avvicinare i consoli, i pretori e gli altri magistrati presentando le loro richieste. Tuttavia avevano un implacabile nemico in almeno uno dei consoli, Marco Porcio Catone, il quale cos? parl? a favore della legge che si voleva abrogare.
Livio, Storia di Roma, LX, 51-52
[51] Censores fideli concordia senatum legerunt. princeps lectus est ipse censor M. Aemilius Lepidus pontifex maximus: tres eiecti de senatu; retinuit quosdam Lepidus a collega praeteritos. opera ex pecunia attributa diuisaque inter se haec [con]fecerunt. Lepidus molem ad Tarracinam, ingratum opus, quod praedia habebat ibi priuatamque publicae rei impensam ins<er>uerat; theatrum et proscaenium ad Apollinis, aedem Iouis in Capitolio, columnasque circa poliendas albo locauit; et ab his columnis, quae incommode opposita uidebantur, signa amouit clipeaque de columnis et signa militaria adfixa omnis generis dempsit. M. Fuluius plura et maioris locauit usus: portum et pilas pontis in Tiberi, quibus pilis fornices post aliquot annos P. Scipio Africanus et L. Mummius censores locauerunt imponendos; basilicam post argentarias nouas et forum piscatorium circumdatis tabernis quas uendidit in priuatum; [et forum] et porticum extra portam Trigeminam, et aliam post naualia et ad fanum Herculis et post Spei ad Tiberim <et ad> aedem Apollinis medici. habuere et in promiscuo praeterea pecuniam: ex ea communiter locarunt aquam adducendam fornicesque faciendos. impedimento operi fuit M. Licinius Crassus, qui per fundum suum duci non est passus. portoria quoque et uectigalia iidem multa instituerunt. complura sacella publicaque loca, occupata a priuatis, publica sacraque ut essent paterentque populo curarunt. mutarunt suffragia, regionatimque generibus hominum causisque et quaestibus tribus discripserunt.
[52] Et alter ex censoribus M. Aemilius petiit ab senatu, ut sibi dedicationis <causa> templorum reginae Iunonis et Dianae, quae bello Ligustino annis octo ante uouisset, pecunia ad ludos decerneretur. uiginti milia aeris decreuerunt. dedicauit eas aedes, utramque in circo Flaminio, ludosque scaenicos triduum post dedicationem templi Iunonis, biduum post Dianae, et singulos dies fecit in circo. idem dedicauit aedem Larum permarinum in Campo. uouerat eam annis undecim ante L. Aemilius Regillus nauali proelio aduersus praefectos regis Antiochi. supra ualuas templi tabula cum titulo hoc fixa est: 'duello magno dirimendo, regibus subigendis, ~caput patrandae pacis haec pugna exeunti L. Aemilio M. Aemilii filio * * auspicio imperio felicitate ductuque eius inter Ephesum Samum Chiumque, inspectante eopse Antiocho, exercitu omni, equitatu elephantisque, classis regis Antiochi antehac inuicta fusa contusa fugataque est, ibique eo die naues longae cum omnibus sociis captae quadraginta duae. ea pugna pugnata rex Antiochus regnumque * * * . eius rei ergo aedem Laribus permarinis uouit.' eodem exemplo tabula in aede Iouis in Capitolio supra ualuas fixa est.
51. I censori provvidero alla revisione delle liste senatorie con lealt? e concordia. Fu scelto a membro pi? autorevole del senato proprio il censore Marco Emilio Lepido, che era anche pontefice massimo; tre furono gli espulsi dal senato, mentre altri furono riconfermati da Lepido contro la volont? di espulsione del collega. Il denaro stanziato per loro e tra loro diviso permise di realizzare queste opere: Lepido fece costruire un muraglione fino a Terracina ma i lavori gli crearono qualche impopolarit? perch? egli possedeva l? delle campagne e aveva fatto spendere all'erario dei soldi per suoi interessi personali; fece costruire un teatro e un proscenio vicino al tempio di Apollo; diede in appalto i lavori di nuova intonacatura del tempio di Giove sul Campidoglio e delle colonne circostanti; inoltre, fece togliere da queste colonne le statue che, con molto poco gusto, vi erano state addossate; sempre dalle colonne rimosse tutti gli scudi e tutte le insegne militari di ogni genere che vi stavano appese. Marco Fulvio appalt? un numero di opere superiore e anche di maggiore utilit?: un molo e i piloni di un ponte sul Tevere (su questi piloni alcuni anni dopo furono gettate le arcate e questa opera fu appaltata dai censori Publio Scipione Africano e Lucio Mummio), una basilica dietro le nuove botteghe dei cambiavalute; un mercato del pesce circondato da botteghe che il censore pose in vendita per usi privati; un foro e un porticato fuori porta Trigemina; altri portici dietro i cantieri navali fino al tempio di Ercole, dietro al tempio della Speranza, dal Tevere fino al tempio di Apollo Medico. I due censori ebbero assegnata anche una cifra da spendere insieme: con quella somma, di comune accordo, appaltarono un acquedotto e il relativo sistema di arcate, anche se a questa costruzione cerc? di opporsi Marco Licinio Crasso, che non consent? che il tracciato dell'opera attraversasse le sue campagne. I censori istituirono anche molti dazi doganali e altre tasse. Ribadirono il possesso dello stato su molti tempietti pubblici che erano stati occupati da privati come fossero loro propriet? personale, curandone la riconsacrazione e l'apertura al popolo. Portarono alcune modificazioni nel sistema di espressione del voto, ridistribuendo le trib? nei quartieri secondo le classi sociali, le condizioni delle famiglie, le professioni.
52. E uno dei due censori, Marco Emilio, chiese al senato che in occasione della consacrazione dei templi di Giunone Regina e di Diana di cui egli aveva fatto voto otto anni prima durante la guerra contro i Liguri, fosse stanziata una somma per i ludi: furono erogati ventimila assi di bronzo. Marco Emilio consacr? i templi, entrambi nel circo Flaminio, e organizz? i ludi scenici tre giorni dopo la consacrazione del tempio di Giunone e due giorni dopo quella del tempio di Diana, entrambi di un giorno e nel circo. Consacr? anche nel Campo Marzio un tempio ai lari dei mari, di cui aveva fatto voto undici anni prima Lucio Emilio Regillo durante la battaglia navale combattuta contro gli ammiragli del re Antioco. Sui battenti del tempio fu infissa una targa con l'iscrizione: "A Lucio Emilio, figlio di Marco, uscito a battaglia per porre fine ad un grande conflitto, per sottomettere i re, per ottenere la pace *** con i suoi auspici, sotto il suo comando, sotto la sua fortunata guida, tra Efeso, Samo, Chio, sotto gli occhi di Antioco in persona, di tutto l'esercito, della cavalleria, degli elefanti, tutta la flotta del re Antioco, da sempre vittoriosa, fu sbaragliata, fatta a pezzi, costretta alla fuga; in quell'occasione furono prese quarantadue navi da guerra con gli equipaggi interi. A conclusione della battaglia il re Antioco e il suo regno *** per questo successo fece voto del tempio ai lari dei mari". Sui battenti del tempio di Giove in Campidoglio fu affissa una targa che era copia di questa.
Trad. Newton
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