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Ovidio


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Tacito
Storie I, 4
 
originale
 
[4] Ceterum antequam destinata componam, repetendum videtur qualis status urbis, quae mens exercituum, quis habitus provinciarum, quid in toto terrarum orbe validum, quid aegrum fuerit, ut non modo casus eventusque rerum, qui plerumque fortuiti sunt, sed ratio etiam causaeque noscantur. finis Neronis ut laetus primo gaudentium impetu fuerat, ita varios motus animorum non modo in urbe apud patres aut populum aut urbanum militem, sed omnis legiones ducesque conciverat, evulgato imperii arcano posse principem alibi quam Romae fieri. sed patres laeti, usurpata statim libertate licentius ut erga principem novum et absentem; primores equitum proximi gaudio patrum; pars populi integra et magnis domibus adnexa, clientes libertique damnatorum et exulum in spem erecti: plebs sordida et circo ac theatris sueta, simul deterrimi servorum, aut qui adesis bonis per dedecus Neronis alebantur, maesti et rumorum avidi.
 
traduzione
 
4. Ma prima di affrontare l'argomento propostomi, non sar? male tornare d'un passo alla situazione di Roma, agli umori degli eserciti, all'atteggiamento delle province, alle realt? malate e sane esistenti nel mondo, per riuscire non solo a conoscere il seguito dei fatti, tanto spesso fortuiti, ma a capirne anche l'interno nesso e la genesi. Se la fine di Nerone s'era risolta, sul momento, in una esplosione di gioia, aveva provocato reazioni diverse, non solo a Roma fra i senatori, il popolo e i soldati della guarnigione, ma in tutte le legioni e nei loro comandanti: era adesso consapevolezza diffusa un principio del potere finora segreto, che si poteva diventare imperatori anche fuori di Roma. Felici i senatori per la libert? ritrovata di colpo, e tanto pi? esplicita la gioia perch? rapportata a un principe nuovo e lontano; quasi analoga l'esultanza dei cavalieri pi? in vista; la parte sana del popolo, legata alle maggiori famiglie, i clienti e i liberti dei condannati politici e degli esuli tornavano a sperare; sconsolata invece e avida di ogni chiacchiera la plebaglia, quella di casa al circo o nei teatri, e con lei la feccia degli schiavi, insieme a quanti, dilapidati i propri averi, si cibavano delle sozzure di Nerone.
 

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