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Ovidio


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Tacito
Storie I, 7
 
originale
 
[7] Forte congruerat ut Clodii Macri et Fontei Capitonis caedes nuntiarentur. Macrum in Africa haud dubie turbantem Trebonius Garutianus procurator iussu Galbae, Capitonem in Germania, cum similia coeptaret, Cornelius Aquinus et Fabius Valens legati legionum interfecerant antequam iuberentur. fuere qui crederent Capitonem ut avaritia et libidine foedum ac maculosum ita cogitatione rerum novarum abstinuisse, sed a legatis bellum suadentibus, postquam impellere nequiverint, crimen ac dolum ultro compositum, et Galbam mobilitate ingenii, an ne altius scrutaretur, quoquo modo acta, quia mutari non poterant, comprobasse. ceterum utraque caedes sinistre accepta, et inviso semel principi seu bene seu male facta parem invidiam adferebant. venalia cuncta, praepotentes liberti, servorum manus subitis avidae et tamquamm apud senem festinantes, eademque novae aulae mala, aeque gravia, non aeque excusata. ipsa aetas Galbae inrisui ac fastidio erat adsuetis iuventae Neronis et imperatores forma ac decore corporis, ut est mos vulgi, comparantibus.
 
traduzione
 
7. Per fatale coincidenza si seppe allora della morte di Clodio Macro e Fonteio Capitone. Macro era stato ucciso in Africa, dietro ordine di Galba, dal procuratore Trebonio Garuziano, perch? implicato in uno scoperto tentativo di ribellione; Capitone per un analogo tentativo l'avevano eliminato in Germania, prima ancora di riceverne l'ordine, i legati Cornelio Aquino e Fabio Valente. Diversa l'interpretazione di altri: Capitone, per quanto vera la turpe macchia di avidit? e lussuria, non avrebbe mai nutrito piani sovversivi, bens? sarebbe caduto vittima di una perfida accusa rivoltagli proprio da quei legati, alle cui sollecitazioni di scendere in campo aveva opposto un rifiuto; Galba, o per mancanza di decisione o per evitare di andare in fondo al problema, aveva approvato l'accaduto - comunque fosse andata - perch? i fatti non erano modificabili. In ogni caso la reazione alle due esecuzioni fu dura e al principe, una volta resosi inviso, ogni gesto, buono o cattivo, provocava sempre avversioni. Di tutto si faceva mercato, lo strapotere dei liberti dilagava; le mani rapaci degli schiavi pronte ad arraffare ogni occasione, rese anche impazienti dalla vecchiaia del principe; vecchi guasti si riproponevano nella nuova corte, gravi come prima, ma non come prima scusati. La stessa et? di Galba costituiva oggetto di scherno e ragione di insofferenza per chi, abituato alla giovinezza di Nerone, valutava, come fa il volgo, gli imperatori dalla loro prestanza fisica.
 

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