Data:
22/05/2002 19.24.48
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Tibullo, Elegie, I, 1 [la traduzione ? sotto il testo latino]
Divitias alius fulvo sibi congerat auro Et teneat culti iugera multa soli, Quem labor adsiduus vicino terreat hoste, Martia cui somnos classica pulsa fugent: Me mea paupertas vita traducat inerti, 5 Dum meus adsiduo luceat igne focus. Ipse seram teneras maturo tempore vites Rusticus et facili grandia poma manu; Nec spes destituat, sed frugum semper acervos Praebeat et pleno pinguia musta lacu. 10 Nam veneror, seu stipes habet desertus in agris Seu vetus in trivio florida serta lapis, Et quodcumque mihi pomum novus educat annus, Libatum agricolae ponitur ante deo. Flava Ceres, tibi sit nostro de rure corona 15 Spicea, quae templi pendeat ante fores, Pomosisque ruber custos ponatur in hortis, Terreat ut saeva falce Priapus aves. Vos quoque, felicis quondam, nunc pauperis agri Custodes, fertis munera vestra, Lares. 20 Tunc vitula innumeros lustrabat caesa iuvencos, Nunc agna exigui est hostia parva soli. Agna cadet vobis, quam circum rustica pubes Clamet 'io messes et bona vina date'. Iam modo iam possim contentus vivere parvo 25 Nec semper longae deditus esse viae, Sed Canis aestivos ortus vitare sub umbra Arboris ad rivos praetereuntis aquae. Nec tamen interdum pudeat tenuisse bidentem Aut stimulo tardos increpuisse boves, 30 Non agnamve sinu pigeat fetumve capellae Desertum oblita matre referre domum. At vos exiguo pecori, furesque lupique, Parcite: de magno est praeda petenda grege. Hic ego pastoremque meum lustrare quotannis 35 Et placidam soleo spargere lacte Palem. Adsitis, divi, neu vos e paupere mensa Dona nec e puris spernite fictilibus. Fictilia antiquus primum sibi fecit agrestis Pocula, de facili conposuitque luto. 40 Non ego divitias patrum fructusque requiro, Quos tulit antiquo condita messis avo: Parva seges satis est, satis requiescere lecto Si licet et solito membra levare toro. Quam iuvat inmites ventos audire cubantem 45 Et dominam tenero continuisse sinu Aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster, Securum somnos igne iuvante sequi. Hoc mihi contingat. Sit dives iure, furorem Qui maris et tristes ferre potest pluvias. 50 O quantum est auri pereat potiusque smaragdi, Quam fleat ob nostras ulla puella vias. Te bellare decet terra, Messalla, marique, Ut domus hostiles praeferat exuvias; Me retinent vinctum formosae vincla puellae, 55 Et sedeo duras ianitor ante fores. Non ego laudari curo, mea Delia; tecum Dum modo sim, quaeso segnis inersque vocer. Te spectem, suprema mihi cum venerit hora, Te teneam moriens deficiente manu. 60 Flebis et arsuro positum me, Delia, lecto, Tristibus et lacrimis oscula mixta dabis. Flebis: non tua sunt duro praecordia ferro Vincta, neque in tenero stat tibi corde silex. Illo non iuvenis poterit de funere quisquam 65 Lumina, non virgo, sicca referre domum. Tu manes ne laede meos, sed parce solutis Crinibus et teneris, Delia, parce genis. Interea, dum fata sinunt, iungamus amores: Iam veniet tenebris Mors adoperta caput, 70 Iam subrepet iners aetas, nec amare decebit, Dicere nec cano blanditias capite. Nunc levis est tractanda Venus, dum frangere postes Non pudet et rixas inseruisse iuvat. Hic ego dux milesque bonus: vos, signa tubaeque, 75 Ite procul, cupidis volnera ferte viris, Ferte et opes: ego conposito securus acervo Despiciam dites despiciamque famem.
Altri accumuli ricchezze d'oro zecchino e tenga a coltura molti iugeri di terra, s? che un'angoscia continua l'assilli per la presenza del nemico, e gli squilli delle trombe di guerra gli tolgano il sonno. Una vita tranquilla conceda invece a me la misura, purch? sul mio focolare splenda sempre una fiamma. Come un contadino vorrei io stesso piantare a tempo e luogo i tralci della vite e con mano sapiente gli alberi da frutta, senza che la speranza mi tradisca, ma via via mi conceda covoni di grano e vendemmie abbondanti che colmino i tini. Non c'? tronco solitario nei campi o pietra antica di trivio con ghirlande di fiori ch'io non veneri, e qualunque frutto mi dona la nuova stagione, come primizia io l'offro alle divinit? della campagna. Appesa alla porta del tuo tempio, mia bionda Cerere, sar? sempre una corona di spighe raccolte nei miei campi e a guardia del frutteto sar? posto un Priapo rosso fuoco, che con la sua macabra falce atterrisca gli uccelli. Anche voi, Lari, custodi di questo povero podere, un tempo cos? ricco, prendetevi i doni che vi sono dovuti. Allora una vitella col suo sacrificio purificava innumerevoli giovenchi, ora un'agnella ? l'umile vittima d'un fazzoletto di terra. Cadr? dunque in vostro onore un'agnella e intorno a lei grider? la giovent? di campagna: 'Salute a voi, dateci messi e vino buono'. Potessi finalmente vivere felice del poco che ho e non essere costretto continuamente a viaggiare in terre lontane; potessi evitare il sorgere della canicola estiva all'ombra di un albero vicino a un rivolo d'acqua. Non mi vergognerei d'impugnare a volte la vanga o d'incitare col pungolo i buoi quando s'attardano; non mi lamenterei di riportare a casa, stretta al seno, un'agnella o il piccolo di una capretta abbandonato dalla madre smemorata. Ma voi, ladri e lupi, risparmiate il mio minuscolo gregge: la preda va tolta a una mandria numerosa. Qui ogni anno purifico i miei pastori e aspergo di latte, perch? si plachi, la dea Pale. Assistetemi, dei, non disprezzate i doni che a voi vengono da un povero desco in disadorne stoviglie d'argilla. D'argilla era la coppa che si foggiarono un tempo i contadini, plasmandola con la molle creta. Io non pretendo le ricchezze dei miei padri, n? i frutti che il raccolto procurava a quegli antichi: mi basta poca roba e, se ? possibile, dormire nel mio letto, ritemprando le membra sul solito guanciale. Che gioia ascoltare, coricato, i venti che infuriano e teneramente stringersi al petto l'amata o, quando d'inverno lo scirocco rovescia la sua pioggia gelida, abbandonarsi in pace al sonno, mentre ti cullano le gocce! Questo mi tocchi in sorte: ? giusto che diventi ricco chi sa sfidare la furia del mare e la tristezza della pioggia. Scompaiano tutto l'oro e gli smeraldi del mondo, piuttosto che una fanciulla pianga per i miei viaggi. In terra e in mare tu porti guerra, Messalla, perch? nella tua casa si mostrino le spoglie nemiche; io qui sono avvinto dalle catene d'una fanciulla seducente e siedo come un portiere davanti alla sua porta sbarrata. Io, mia Delia, non inseguo la gloria: pur di restare con te non m'importa che mi chiamino incapace e indolente. Voglio specchiarmi in te quando verr? la morte e in fin di vita tenerti con la mano che s'abbandona. Mi piangerai, Delia, e composto sul letto del rogo coi baci verserai lacrime amare. Mi piangerai: il tuo petto non ? cinto di ferro, nel tuo tenero cuore non hai infissa una pietra. Da quel funerale non ci saranno giovani, n? fanciulle che possano tornare a casa senza lacrime agli occhi. E tu, mia Delia, non contristare la mia ombra, abbi piet?: non sciogliere i capelli, risparmia le tue morbide guance. Intanto, finch? il fato lo consente, facciamo insieme l'amore: presto verr? la morte, col capo coperto di tenebre, presto subentrer? l'et? dell'impotenza, e coi capelli bianchi non sar? pi? decoroso l'amore o blandirsi a parole. Ora, ora ? il tempo di darci senza pensieri all'amore, finch? non ? vergogna infrangere le porte e dolce ? intrecciare litigi. In questo campo io sono condottiero e soldato valente; voi, trombe e vessilli, sparite, via: a chi ama l'avventura procurate ferite e con queste la ricchezza. Io, spensierato, col mio raccolto nel granaio, rider? dei ricchi, rider? della fame.
Trad. database progettovidio
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