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Mittente:
Bukowski
Re: cicero   stampa
Data:
26/05/2002 16.42.32




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Difficilotte ;)

28. non enim me hoc iam dicere pudebit, praesertim in ea vita atque iis rebus gestis, in quibus non potest residere inertiae aut levitatis ulla suspicio, nos ea, quae consecuti sumus iis studiis et artibus esse adeptos, quae sint nobis Graeciae monumentis disciplinisque tradita. Quare praeter communem fidem, quae omnibus debetur, praeterea nos isti hominum generi praecipue debere videmur, ut, quorum praeceptis sumus eruditi, apud eos ipsos, quod ab iis didicerimus, velimus expromere.
X. 29. Atque ille quidem princeps ingenii et doctrinae Plato tum denique fore beatas res publicas putavit, si aut docti et sapientes homines eas regere coepissent aut ii, qui regerent, omne suum studium in doctrina et sapientia collocassent: hanc coniunctionem videlicet potestatis et sapientiae saluti censuit civitatibus esse posse; quod fortasse aliquando universae rei publicae nostrae, nunc quidem profecto isti provinciae contigit, ut is in eam summam potestatem haberet, cui in doctrina, cui in virtute atque humanitate percipienda plurimum a pueritia studii fuisset et temporis.

Ora come ora, non mi vergogner? di affermare quanto segue [lett. hoc], soprattutto in riferimento ad una condotta di vita [in ea vita atque iis rebus gestis] (come la nostra) sulla quale non pu? gravare alcun sospetto di inattivit? e frivolezza: (ovvero che) tutte le nostre conquiste [ea, quae consecuti sumus] (socio-culturali) le abbiamo ottenute per mezzo di studi e arti retaggio della cultura greca [quae sint nobis Graeciae monumentis disciplinisque tradita]. Per la qual cosa, ad eccezione della fede comune, che si deve a(ll'apporto di) tutti, per il resto ? lapalissiano che dobbiamo molto a codesta civilt? [isti hominum generi], sebbene [ut, concessivo] pretendiamo [velimus, ? congiuntivo] di sfoggiare [expromere] nei loro stessi confronti [apud eos ipsos], (per quanto) ci siamo formati alla loro scuola [quorum praeceptis sumus eruditi, con gli insegnamenti dei quali?], ci? che [quod] da essi (appunto) abbiamo appreso.
Ad esempio, gi? a suo tempo, Platone - mente filosofica eccelsa [princeps ingenii et doctrinae] - ha reputato floridi quegli stati [lett. che sarebbero stati felici quegli stati] o retti da filosofi (veri e propri) [lett. se uomini? li avessero retti?; possiamo considerare il "coeperunt" come pleonastico] o i cui reggitori [ii, qui regerent (prop. consec., col cong.)] si fossero (comunque) dedicati esclusivamente a coltivare la saggezza filosofica [collocassent omne suum studium in doctrina et sapientia]. Ci? vale a dire [videlicet] ch'egli reput? questo rapporto "sponsale" tra sapere e potere [coniunctionem potestatis et sapientiae] come imprescindibile per un buon assetto statale [trad. un po' a senso, tuttavia chiaro: posse esse saluti civitatibus]; condizione che, forse, talvolta si ? verificata [contigit] a Roma [universae rei publicae nostrae], ma che ora, senza dubbio, si ? verificata in codesta provincia [costruzione contingo + ut + cong.], se ? vero ch'? governata da un uomo [Cicerone si sta rivolgendo al fratello Quinto, ch'era al governo della provincia d'Asia] che, (fin) dalla fanciullezza, ha dedicato tutta la sua vita [cui studii fuisset et temporis] nell'apprendere (il valore della) filosofia, (dell')etica [virtute] e (dell')humanitas [lascio intradotto il termine per preservarne la profondit? semantica].

Trad. Bukowski

Cicerone, Lo Stato, I,1-2 passim

Unum hoc definio, tantam esse necessitatem virtutis generi hominum a natura tantumque amorem ad communem salutem defendendam datum, ut ea vis omnia blandimenta voluptatis otique vicerit.
(2) Nec vero habere virtutem satis est quasi artem aliquam nisi utare; etsi ars quidem cum ea non utare scientia tamen ipsa teneri potest, virtus in usu sui tota posita est; usus autem eius est maximus civitatis gubernatio, et earum ipsarum rerum quas isti in angulis personant, reapse non oratione perfectio. nihil enim dicitur a philosophis, quod quidem recte honesteque dicatur, quod <non> ab iis partum confirmatumque sit, a quibus civitatibus iura discripta sunt. unde enim pietas, aut a quibus religio?

Affermo soltanto questo [hoc unum]: (che) un cos? grande impulso alla virt? [tantam necessitatem virtutis] e un cos? grande spirito di benevolenza [amorem] (che ci spinge) a tutelare l'altrui salvezza [ad communem salutem defendendam] ci appartiene per natura [lett. vien dato dalla?], tal che una simile forza [ea vis] vince tutte le blandizie del piacere e dell'ozio.
Ma invero, non ? sufficiente conoscere, come dire [quasi], in via astratta [artem] la virt?, e (altres?) non esercitarla; mentre infatti per ogni altra arte vale ch'essa si possieda anche qualora non esercitata (nella pratica) [trad. un po' a senso, tuttavia chiaro, di: etsi ars quidem cum ea non utare scientia tamen ipsa teneri potest], la virt? ? veramente tale solo quand'? "in atto" [in usu, nella pratica]; e la sua "attualit?" [cio? il suo essere appunto "in atto"] coincide innanzitutto con l'attivit? di governo [civitatis gubernatio] e nella realizzazione compiuta [perfectio], a fatti e non a parole [reapse non oratione], di quegli stessi assunti [earum ipsarum rerum] che costoro fanno rimbombare [personant] (soltanto) nelle aule delle scuole [in angulis]. Non si annovera alcuna asserzione filosofica [lett. nulla infatti vi ? detto dai?], infatti, che osservi criteri di giustizia ed onest? [quod quidem recte honesteque dicatur], che non sia stata forgiata e confermata da coloro i quali stilarono le leggi negli Stati [lett. la costruzione ? rovesciata al passivo, da coloro, dai quali? furono stilate].
Da dove (nasce) infatti la pietas [lascio intradotto il termine per preservarne la profondit? semantica] e l'osservanza del culto [religio]?
Trad. Bukowski
  cicero
      Re: cicero
 

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