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Mittente:
Bukowski
Re: trgedie di seneca   stampa
Data:
27/05/2002 14.46.46




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Come promesso ;)

Seneca, Hercvles [Oetaevs], 609, 741 [la traduzione ? sotto l'originale]

Tenet auratum limen Erinys,
et quom magnae patuere fores, 610
intrant fraudes cautique doli
ferrumque latens; cumque in populos
prodire paras, comes inuidia est:
noctem quotiens summouet Eos,
regem totiens credite nasci. 615
Pauci reges, non regna colunt:
plures fulgor concitat aulae.
Cupit hic regi proximus ipsi
clarus totas ire per urbes
(urit miserum gloria pectus), 620
cupit hic gazis implere famem,
nec tamen omnis plaga gemmiferi
sufficit Histri
nec tota sitim Lydia uincit
nec quae Zephyro subdita tellus 625
stupet aurato flumine clarum
radiare Tagum,
nec si totus seruiat Hebrus
ruraque diues iungat Hydaspes
intraque suos currere fines
spectet toto flumine Gangen: 630
auidis, auidis natura parum est.
Colit hic reges regumque lares,
non ut presso uomere semper
numquam cesset curuus arator
uel mille secent arua coloni: 635
solas optat quas ponat opes.
colit hic reges, calcet ut omnes
perdatque aliquos nullumque leuet:
tantum ut noceat cupit esse potens.
Quota pars moritur tempore fati! 640
rarum est felix idemque senex: 643
quos felices Cynthia uidit, 641
uidit miseros enata dies,
nec sibi felix pauper habetur, 673
nisi felices cecidisse uidet.
O si pateant pectora ditum! 648
quantos intus sublimis agit
fortuna metus!
Bruttia Coro pulsante fretum
lenior unda est.
pectora pauper secura gerit:
carpit faciles uilesque cibos, 655
sed non strictos respicit enses;
tenet e patula pocula fago, 653
sed non trepida tenet illa manu:
aurea miscet pocula sanguis. 657
caespes Tyrio mollior ostro 644
solet inpauidos ducere somnos;
aurea rumpunt texta quietem
uigilesque trahit purpura noctes.
Coniunx modico nupta marito 658
non disposito clara monili
gestat pelagi dona rubentis,
nec gemmiferas detrahit aures
lapis Eoa lectus in unda,
nec Sidonio mollis aeno
repetita bibit lana rubores,
nec Maeonia distinguit acu 665
quae Phoebeis subditus euris
legit Eois Ser arboribus:
quaelibet herbae tinxere colus
quas indoctae neuere manus,
sed non dubios fouet illa toros. 670
sequitur dira lampade Erinys
quarum populi coluere diem.
Quisquis medium defugit iter 675
stabili numquam tramite curret:
dum petit unum praebere diem
patrioque puer constitit axe
nec per solitum decurrit iter,
sed Phoebeis ignota petens 680
sidera flammis errante rota,
secum pariter perdidit orbem.
medium caeli dum sulcat iter,
tenuit placidas Daedalus oras
nullique dedit nomina ponto; 685
sed dum uolucres uincere ueras
Icarus audet
patriasque puer despicit alas
Phoeboque uolat proxumus ipsi,
dedit ignoto nomina ponto: 690
male pensantur magna ruinis.
Felix alius magnusque sonet,
me nulla uocet turba potentem.
stringat tenuis litora puppis
nec magna meas aura phaselos 695
iubeat medium scindere pontum:
transit tutos Fortuna sinus
medioque rates quaerit in alto,
quarum feriunt sipara nubes.
Sed quid pauido territa uultu, 700
qualis Baccho saucia Thyias,
fertur rapido regina gradu?
quae te rursus fortuna rotat,
miseranda, refer:
licet ipsa neges, uultus loquitur 705
quodcumque tegis.
Deianira Vagus per artus errat excussos tremor,
erectus horret crinis, impulsis adhuc
stat terror animis et cor attonitum salit
pauidumque trepidis palpitat uenis iecur.
ut fractus austro pontus etiamnum tumet, 710
quamuis quiescat languidis uentis dies,
ita mens adhuc uexatur excusso metu.
semel profecto premere felices deus
cum coepit, urget. hos habent magna exitus.
Chorvs Quis tam impotens, miseranda, te casus rotat? 715
De. Vt missa palla est tabe Nessea inlita
thalamisque maerens intuli gressum meis,
nescioquid animus timuit * * *
* * * * * et fraudem struit.
libet experiri. solibus uirus ferum
flammisque Nessus sanguinem ostendi arcuit: 720
hic ipse fraudes esse praemonuit dolus.
et forte, nulla nube respersus iubar,
laxabat ardens feruidum Titan diem
(uix ora solui patitur etiamnunc timor):
medios in ignes solis et claram facem, 725
quo tincta fuerat palla uestisque inlita,
abiectus horret uillus et Phoebi coma
tepefactus arsit (uix queo monstrum eloqui).
niues ut Eurus soluit aut tepidus Notus,
quas uere primo lucidus perdit Mimas, 730
utque euolutos frangit Ionio salo
opposita fluctus Leucas et lassus tumor
in litore ipso spumat, aut caelestibus
aspersa tepidis tura laxantur focis,
sic languet omne uellus et perdit comas. 735
dumque ista miror, causa mirandi perit;
quin ipsa tellus spumeos motus agit
et quidquid illa tabe contactum est labat
tumensque tacita * * * *
* * * * quassat caput
natum pauentem cerno et ardenti pede 740
gressus ferentem. prome quid portes noui.

Occupa l'Erinni il limitare rivestito d'oro e quando si sono spalancate le grandi porte vi entrano inganni e cauti imbrogli e ferro [insidioso] che si tiene nascosto. Quando ti (prepari) ad andare in mezzo alla gente, tua accompagnatrice ? l'invidia [suscitata]: ogni volta che Aurora mette da parte la notte, voi dovete credere che ? come se il re altrettante volte rinascesse. Sono pochi a venerare i re e non il loro regno; un numero di persone maggiore ? il fulgore della reggia che lo raduna. Uno desidera, stando vicino al re in persona, andarsene famoso per grandi citt? (brucia infatti il desiderio di gloria il suo cuore infelice); un altro desidera saziare la fame che ha di tesori degni del re di Persia, ma non gli basta tutta la zona dell'Istro portatore di gemme, tutta la Lidia non riesce a vincere la sua sete e neppure la terra [Spagna] esposta allo Zefiro, stupita di fronte al fiume Tago luminoso, che manda raggi per il fluire del suo oro; neppure se tutto l'Ebro fosse suo schiavo e l'Idaspe ricco appartenesse ai territori di sua propriet? e dentro i territori posseduti vedesse scorrere il Gange con tutto il suo fluire; per chi ? avido, per chi ? avido [ci? che produce] la natura ? troppo poco. Questi venera i re e le case dei re non perch?, tenendo sempre premuto il vomere a terra, mai cessino di lavorare curvi gli addetti all'aratura oppure perch? innumerevoli coloni arino i campi suoi: lui desidera solo denaro (da mettere a deposito). Quest'altro venera i re per poter calpestare tutti gli altri, per mandare qualcuno in rovina e non per dare sollievo a qualcuno: solo per fare il male lui desidera essere potente. Quanto pochi muoiono nel tempo stabilito dal destino! Quelli che [la Luna] Cinzia ha visto come persone di successo, il giorno appena sorto li vede privati di quel successo: rara ? una persona di successo che sia anche vecchia. Le zolle di terra, pi? morbide della porpora di Tiro, apportano sonni privi di paure; i tetti coperti d'oro rompono invece il riposo e la porpora fa s? che vengano trascinate notti intere senza sonno. Oh se si aprissero i cuori dei ricchi! La sorte che li ha posti in alto, quante paure muove nel loro intimo! L'onda del mare Bruzio, quando il vento Coro batte il braccio di mare, ? pi? tranquilla! Il povero ha un cuore privo di preoccupazioni: tiene in mano boccali fatti con il legno del faggio dai larghi rami, ma non li tiene con mano che trema di paura; sbocconcella cibi facilmente reperibili e di poco costo, ma non vede spade sguainate dietro di s?. Sangue si unisce [al vino contenuto] nei bicchieri cl' oro. La spo- sa di un marito di condizione modesta non porta su di s? il peso dei doni lucenti offerti dal Mar Rosso e disposti a collana, non tira in gi? le sue orecchie la pietra raccolta fra le onde dei mari d'Oriente; [per lei] morbida lana non assorbe pi? di una volta rossi colori dentro recipienti di bronzo a Sidone; non fa ricamare dall'ago delle donne della Meonia le sete raccolte sugli alberi d'Oriente dai Seri, esposti ai soffi dell'Euro, vento d'Oriente: la lana che mani inesperte hanno filato vale a tingerla qualunque tipo d'erba, ma non serve [poi] a tener caldi letti di cui ? incerto il proprietario. L'Erinni con la sua fiaccola maledetta sta dietro a coloro la cui giornata hanno venerato popolazioni intere e il povero non si considera felice se non vede caduti gi? i personaggi di successo.
Tutti quelli rifuggiti dalla via di mezzo non corron mai per un sentiero stabile. Poich? [Fetonte] aveva chiesto di dare lui per una volta la luce del giorno, il fanciullo si sistem? sul cocchio del padre; ma non corse gi? per il cammino usuale e con ruote vagabonde muovendo invece verso costellazioni ignote alle fiamme di Febo mand? in rovina contemporaneamente se stesso e il mondo. Poich? Dedalo aveva solcato il cammino suo nella parte mediana del cielo, gli riusc? invece di raggiungere spiagge tranquille e... non diede il suo nome ad alcun mare; Icaro invece, poich? ebbe il coraggio di superare in volo gli uccelli veri e, lui fanciullo, guard? dall'alto le ali del padre volando addirittura vicino a Febo, [cos?] diede il nome suo a un mare prima senza nome. Le cose grandi trovano cattivo pareggio con i crolli che provocano.
Faccia pur altri risuonare il suo nome come persona di successo e grande: me invece nessuna folla invochi come persona di potere; la nave mia di poca consistenza costeggi le spiagge n? soffi grandi di vento invitino la barchetta mia a solcare il mare nel suo mezzo. La Fortuna passa oltre [non prende di mira] le insenature ben difese, cerca invece in mezzo al mare navi le cui vele supplementari giungono [alte come sono] a colpire le nuvole. Ma perch? atterrita nel volto impaurito, come una Tiade ebbra di Bacco, la regina si porta con passo precipitoso? Quale Fortuna ti sconvolge di nuovo? Disgraziata che sei, dimmelo: anche se tu dici di no, il volto dice tutto ci? che tu nascondi.


DEIANIRA -CORO- NUTRICE
DEIANIRA Un tremore vagabondo scorre per le mie membra e le scuote; dritti si rizzano i capelli, terrore sta ancora addosso alla mia baldanza che ne ? stata scossa; il cuore, preso da terrore panico, mi salta nel petto, il fegato impaurito palpita e ne tremolano le vene. Come il mare prima frastagliato dallo Scirocco resta ancora gonfio, sebbene la situazione climatica sia in stato di riposo dato che deboli si sono fatti i venti, cosi la mente mia (scossa) ? ancora agitata dalla paura. Una volta che la divinit? ha cominciato a schiacciare le persone che hanno avuto buona sorte, la sua azione si fa certo pressante: questa ? la conclusione di ci? che ? grande!
CORO Che vicenda irrefrenabile sconvolge te, disgraziata che sei?
DEIANIRA Come fu inviata [a Ercole] la veste imbevuta del sangue di Nesso e io piangendo portai il passo alla mia stanza nuziale, di non so cosa l'animo mio ebbe paura e (che si stesse disponendo) un inganno: decido di fare una prova. Quel veleno animalesco, quel sangue suo Nesso aveva vietato che fosse mostrato ai raggi del sole e alle fiamme: proprio questo sotterfugio mi preammon? che si trattasse di un imbroglio. Si dava il caso che la luce del sole non fosse sporcata da nessuna nuvola e Titano bruciante dava libero corso [a mezzogiorno] al caldo giorno (ancor ora la paura mi permette a stento di aprir bocca!): il sangue, di cui era stato tinto il mantello e imbevuta la veste, gettato in modo da ricevere in pieno raggi del sole e [luce della] fiaccola luminosa, si rizza e, scaldato dalla chioma di Febo, (si mise a bruciare). A fatica riesco a raccontare quella apparizione mostruosa! Come Euro oppure come il tiepido Noto scioglie le nevi che all'inizio della primavera va perdendo il monte Mimante splendente di ghiaccio; come Leucade, opponendosi, rompe i flutti srotolati dal mare Ionio e il loro stanco gonfiore spumeggia proprio alla base di quella spiaggia; come i grani d'incenso si dissolvono [in vapori] quando vengono sparsi sui caldi focolari degli dei, cos? tutto quel veleno si illanguidisce e perde il suo alone.
Mentre resto stupita davanti (a questo fatto), il motivo del mio stupore ? gi? scomparso; anzi, la terra subisce sua volta contrazioni spumo se e tutto quanto ? stato toccato da quel veleno, vacilla senza pi? vita*** e gonfia in silenzio scuote la testa*** - vedo mio figlio spaventato e che porta i suoi passi con piede pieno d'ardore; tira fuori ci? che tu porti di nuovo.

Trad. Mondadori

Seneca, Troiane, vv. 236-255

? bello ricordare le azioni gloriose e le celebri imprese di un genitore importante: Ettore cadde davanti agli occhi del padre, e M?mnone dello zio -e la madre, impallidendo, impose il lutto alla luce del giorno: Achille ebbe allora orrore della vittoria, ed apprese che anche i figli delle dee muoiono. E cadde infine la crudele Amazzone, l'ultimo vostro terrore. Se giudichi equamente, devi riconoscere di essere sempre in debito con Achille, anche se egli pretendesse da te una vergine di Micene o di Argo. E hai anche dei dubbi? Cambi ora opinione, all'improvviso, e ritieni inumano sacrificare la figlia di Priamo al figlio di Peleo? Eppure tu, padre, hai sacrificato tua figlia per Elena. Esigo un gesto coerente, una conferma di ci? che hai gi? fatto.
AGAMENNONE L'impulsivit? ? un difetto dei giovani, ma quella che generalmente ? una passione suscitata dall'et?, Pirro l'ha ereditata dal padre. Ho sopportato con calma, all'epoca, il temperamento violento e le minacce dell'iracondo Eacide: pi? potere hai, pi? devi sopportare, con pazienza. Ma perch? vuoi macchiare con questo orrendo assassinio l'ombra gloriosa di un grande condottiero?

Seneca, Troiane, vv. 605-633

ULISSE Sono lieto di poter riferire ai Danai che la pace ? definitiva, che il destino ? compiuto, che la stirpe di Ettore ? estinta. (a parte) Ma che stai dicendo, Ulisse? I Danai ti crederanno, ma tu, a chi credi? A una madre. Ma pu? una madre mentire cos?, augurarsi la morte senza timore, anzich? scongiurarla? Gli auspici li teme chi non teme nulla di peggio. Lei si ? impegnata con un giuramento, ma se ha giurato il falso, che cosa ha da temere di peggio? Adesso, testa mia, devi escogitare qualche stratagemma, ora ci vuole un trucco, un inganno, ora ci vuole l'intero UIisse,la verit? non si cancella mai del tutto. Osservala, la madre: soffre, piange, si lamenta, ma passeggia nervosamente qua e l?, ? tesa all' ascolto di ogni parola, pi? che soffrire ha paura. Bisogna escogitare qualcosa. (ad Andromaca) Con altre madri, in caso di lutto, si usano parole di cordoglio; con te, poveretta, ci si deve congratulare per il fatto che hai perduto tuo figlio. Era destinato a una morte terribile, sarebbe stato gettato gi? dalla torre, l'unica rimasta delle mura abbattute.
ANDROMACA (a parte) Mi sento mancare, le gambe mi tremano, vengono meno, il sangue si ? fermato, ? diventato di ghiaccio.
ULISSE (a parte) Ha avuto un tremito. Ecco, ? cos? che devo incalzarla. L'ha tradita la sua apprensione di madre. Ora la spavento di nuovo. (ai soldati) Andate, sbrigatevi, l'ha nascosto la madre, ? un nemico, ? l'ultimo pericolo che corre la gente pelasga, dovunque esso sia, scovatelo e portatelo qui. Bene, cos?, ormai ? in mano nostra, continuate, presto, tiratelo fuori. (ad Andromaca) Che guardi, hai paura? Ma se ? sicuro che ? morto.
ANDROMACA Magari avessi ancora motivo di temere. Questa che vedi ? una paura che ho di continuo, da tempo. Ci si mette molto a disimparare ci? a cui ci si ? abituati per tanto tempo.

Tradd. BUR
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