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Mittente:
Bukowski
Re: Traduzione epistola cicerone   stampa
Data:
30/05/2002 16.48.25




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Ecco qui.

X Scr. Thcssalonicae xko K. Qithit. a. 696 (58). CICERO ATTICO SAL.
Acta quae essent usque ad a. d. viii Kal. Iunias cognovi ex tuis litteris; reliqua exspectabam, ut tibi placebat, Thessalonicae. quibus adlatis facilius statuere potero ubi sim. nam si erit causa, si quid agetur, si spem videro, aut ibidem opperiar aut me ad te conferam; sin, ut tu scribis, ista evanuerint, aliquid aliud videbimus. omnino adhuc nihil mihi significatis nisi discordiam istorum; quae tamen inter eos de omnibus potius rebus est quam de me. itaque quid ea mihi prosit nescio sed tamen quoad me vos sperare vultis vobis obtemperabo.
[2] nam quod me tam saepe et tam vehementer obiurgas et animo infirmo esse dicis, quaeso, ecquod tantum malum est quod in mea calamitate non sit? ecquis umquam tam ex amplo statu, tam in bona causa, tantis facultatibus ingeni, consili, gratiae, tantis praesidiis bonorum omnium concidit? possum oblivisci qui fuerim, non sentire qui sim, quo caream honore, qua gloria, quibus liberis, quibus fortunis, quo fratre? quem ego, ut novum calamitatis genus attendas, quom pluris facerem quam me ipsum semperque fecissem, vitavi ne viderem, ne aut illius luctum squaloremque aspicerem aut me quem ille florentissimum reliquerat perditum illi adflictumque offerrem. Mitto cetera intolerabilia; etenim fletu impedior. hic utrum tandem sum accusandus quod doleo, an quod commisi ut haec non aut retinerem, quod facile fuisset nisi intra parietes meos de mea pernicie consilia inirentur, aut certe vivus non amitterem?
[3] haec eo scripsi ut potius relevares me, quod facis, quam ut castigatione aut obiurgatione dignum putares, eoque ad te minus multa scribo quod et maerore impedior et quod exspectem istinc magis habeo quam quod ipse scribam. quae si erunt adlata, faciam te consili nostri certiorem. tu, ut adhuc fecisti, quam plurimis de rebus ad me velim scribas, ut prorsus ne quid ignorem. data xiiii Kal. Quintilis Thessalonicae.


Tessalonica, 19 giugno [lett. 14 giorni alle calende di luglio].
Caro Attico,
dalle tue missive ricevo un resoconto (dettagliato) dei fatti accaduti [acta quae essent] fino al 25 maggio [ad otto giorni dalle calende di giugno]; (ora) attendo con trepidazione [exspectabam; tempo epistolare, imperfetto (azione duratura) = presente] il seguito [reliqua], a tua discrezione [ut tibi placebat], (qui) a Tessalonica.
E i base ai (tuoi) ragguagli, potr? pi? facilmente (di conseguenza) regolarmi/decidere (a riguardo della mia situazione), (qui) dove (ora) mi trovo. Difatti, se si presenter? occasione, se la situazione evolver? [si quid agetur], se mi si presenter? [lett. se avr? visto] una (qualche) via d'uscita [spem], (due sono le alternative): o rimarr? qui in attesa, oppure ti raggiunger? [in effetti "conferre se ad aliquem" sta a significare "trovare rifugio presso qualcuno"].
Se invece [sin], come (mi) scrivi, le possibilit? su esposte [lett. ista] son destinate a sfumare [evanuerint; fut. ant., ma ? in atto la consecutio], escogiteremo [videbimus; ma si pu? intendere anche come pl. maiestatis] qualcos'altro. Del resto, a tutt'oggi, nulla (altro) mi lasciate intendere [significatis] se non che tra costoro sussiste un (irresoluto) conflitto (di opinioni politiche), e che tale conflitto si estende, pi? che altro, su tutto, e riguarda me fino ad un certo punto [trad. legg. libera di " quae tamen inter eos de omnibus potius rebus est quam de me ", tuttavia di facile senso]. Insomma, (francamente) non so che vantaggi trarre da una situazione simile, ma tuttavia, finch? mi assicurate che c'? speranza, io continuer? a nutrirla [trad. legg. libera di "quoad me vos sperare vultis vobis obtemperabo ", tuttavia di facile senso].
E tu, poi, mi rimproveri, spesso e volentieri, dicendo [obiurgas? et? dicis; l'endiadi si lega] che mi lascio prendere dallo sconforto: ma, con buona pace! [quaeso], (non vedi che) le sciagure son capitate tutte a me [ecquod tantum malum est quod in mea calamitate non sit]?
Chi mai (come invece ? capitato a me) ? decaduto da una tanto onorevole posizione [tam ex amplo statu], mentre si trovava in una situazione invidiabile [in bona causa], al pieno della sua intelligenza, della sua attivit? politica, della sua influenza, circondato da ogni bene?
Potrei (mai) dimenticare la mia situazione di allora [qui fuerim] e (oggi) non dar conto alla mia attuale [qui sim]: una situazione in cui [quo] mi vengon meno la gloria, l'onore, lontano dai miei figli, dalle mie cose, da mio fratello? Eppure io, tenendo ancor pi? salda la fiducia nelle mie possibilit? [facere pluris, stimare di pi?] di quanto avessi sempre fatto, cerco di non pensarci [vitavi ne viderem; torna il tempo epistolare], cio? di non tenere in conto la maledizione e la sfortuna che mi ? caduta addosso [ne aut illius luctum squaloremque aspicerem], di non darmi a vedere cos? afflitto e perduto, da splendido che ero. Ma mi trattengo dall'andare oltre [mitto cetera]: mi riuscirebbe intollerabile: e le lacrime me lo impediscono.
Ma son forse da biasimare se provo dolore, o se non riesco a trattenermi, (se lamento che) sarebbe stato meglio se avessi potuto riflettere, nella tranquillit? della mia casa [intra parietes meos], (e non qui, da essa lontano), sulla mia sventura, e non tormentarmi?
Ti scrivo con queste parole [torna il tempo epistolare] perch? tu mi conforti piuttosto che considerarmi oggetto di biasimo, e ti accenno al minimo (delle mie sofferenze), sia perch? l'afflizione mi impedisce (di proseguire), sia perch? mi aspetto di pi? di quanto ti abbia io stesso scritto. In qual caso, ti far? sapere la mia decisione. Tu (per parte tua), vorrei che mi scrivessi - come hai fatto finora - quante pi? cose puoi, tal che io sia al corrente di tutto.

Scritta il 19 giugno, a Tessalonica.


Trad. Bukowski
  Traduzione epistola cicerone
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