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Mittente:
Bukowski
Re: Storia di Roma.Velleio Patercolo   stampa
Data:
09/07/2002 13.42.46




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Velleio Patercolo, Storia romana, I, 17-18

[17] 1. Neque hoc in Graecis quam in Romanis evenit magis. Nam nisi aspera ac rudia repetas et inventi laudanda nomine, in Accio circaque eum Romana tragoedia est; dulcesque Latini leporis facetiae per Caecilium Terentiumgue et Afranium subpari aetate nituerunt.
2 Historicos etiam, ut Livium quoque priorum aetati adstruas, praeter Catonem et quosdam veteres et obscuros minus octoginta annis circumdatum aevum tulit, ut nec poetarum in antiquius citeriusve processit ubertas.
3 At oratio ac vis forensis perfectumque prosae eloquentiae decus, ut idem separetur Cato (pace P. Crassi Scipionisque et Laelii et Gracchorum et Fannii et Servii Galbae dixerim) ita universa sub principe operis sui erupit Tullio, ut delectari ante eum paucissimis, mirari vero neminem possis nisi aut ab illo visum aut qui illum viderit.
4 Hoc idem evenisse grammaticis, plastis, pictoribus, scalptoribus quisquis temporum institerit notis, reperiet, eminentiam cuiusque operis artissimis temporum claustris circumdatam.
5 Huius ergo recedentis in suum quodque saeculum ingeniorum similitudinis congregantisque se et in studium par et in emolumentum causas cum saepe requiro, numquam reperio, quas esse veras confidam, sed fortasse veri similes, inter quas has maxime.
6 Alit aemulatio ingenia, et nunc invidia, nunc adrmiratio imitationem accendit, naturaque quod summo studio petitum est, ascendit in summum difficilisque in perfecto mora est, naturaliterque quod procedere non potest, recedit.
7 Et ut primo ad consequendos quos priores ducimus accendimur, ita ubi aut praeteriri aut aequari eos posse desperavimus, studium cum spe senescit, et quod adsequi non potest, sequi desinit et velut occupatam relinquens materiam quaerit novam, praeteritoque eo, in quo eminere non possumus, aliquid, in quo nitamur, conquirimus, sequiturque ut frequens ac mobilis transitus maximum perfecti operis impedimentum sit.

1. (Tutto) ci? accadde tra i Greci non pi? che tra i Romani. Infatti, a meno che [nisi] tu non risalga col discorso [repetas; ma il "tu" ? generico, e dunque, pi? elegantemente: non si risalga...] alle espressioni contorte e rozze, e lodevoli (soltanto) per novit? di genere [laudanda nomine inventi], la (vera) tragedia romana si esaurisce [est in] in Accio e i suoi emulatori [circa eum]; e le raffinate facezie dell'arguzia latina risplendettero (solo) grazie a Cecilio, Terenzio e Afranio, praticamente contemporanei [subpari aetate].
2. Inoltre, un periodo [aevum] che abbraccia [circumdatum] meno di 8 decadi vide fiorire [lett. tulit, port?] anche gli storici, qualora [ut, concessivo] si accorpi [adstruas, ancora "tu" generico, per cui vd. sopra] anche Livio all'epoca di coloro che lo precedono [priorum] e si faccia eccezione [ho reso cos?, in forma verbale, "praeter", per scorrevolezza] di Catone e taluni (altri) antichi e oscuri (autori); cos? come la fioritura [ubertas] dei poeti non si dilung? pi? addietro o pi? avanti (negli anni) [insomma, la fioritura degli storici e quella dei poeti praticamente coincidono].
3. Di contro, l'oratoria, l'arte [vis, forza] forense e lo stile perfetto della retorica [prosae eloquentiae] - con l'eccezione dello stesso Catone, e lo affermo con buona pace di P. Crasso, Scipione, Lelio, dei Gracchi, Fannio e Servio Galba - fiorirono tutt'insieme sotto Tullio (Cicerone), l'oratore per eccellenza (principe), tal che [ita? ut] si potrebbero [possis, vd. sopra] apprezzare [ho legato cos? "delectari" ed "admirari"] pochissimi suoi precursori [ante eum] e pressoch? [vero] nessuno se non da lui visto o che l'abbia visto ["lui" ? Cicerone; il periodo ? un po' ostico nella resa letterale in italiano, tuttavia il senso mi pare semplice: tutti i pi? bravi oratori vissero al tempo di Cicerone, ebbero dunque modo di vederlo e di esserne visti].
4. Chiunque insister? [institerit, ma ? in atto la "consecutio"] sui tratti distintivi [notis] delle epoche, scoprir? che questo stesso fatto si ? verificato [evenisse] (anche) per ci? che riguarda i grammatici, i modellatori, i pittori, gli scultori: (ovvero) che l'eccellenza di tali generi ? racchiusa in ristrettissimi confini di tempo.
5. Per quanto [cum] spesso indaghi [requiro] i motivi (per i quali) [lett. di?] questa compagine similare [similitudinis] di ingegni si ritiri [recedentis] in proprie epoche singole [in suum quodque saeculum] e si raggruppi [congregantis] nella medesima passione e riuscita [il passo, nella resa italiana, ? un po' ostico; accessibile il senso: ingegni simili, in quanto a grandezza, interessi e realizzazioni, chiss? perch? si ritrovano ad essere contemporanei tra loro], (tuttavia) non riesco a dedurne (alcuno) [dei motivi suddetti] che consideri vero, bens? (alcuni) comunque verosimili, e questi, soprattutto, tra gli altri:
6. (ovvero, che) il desiderio di emulare alimenta gli ingegni e che ora l'invidia, ora l'ammirazione rinfocola il desiderio di imitare e che, per natura, ci? che si ? cercato (di ottenere) con la passione pi? grande [summo studio], giunge ad altezze elevatissime; tuttavia, ? difficile persistere [mora, l'indugio] nella perfezione e (sempre) secondo natura regredisce ci? che non pu? migliorarsi [lett. procedere].
7. E come al principio c'infervoriamo a dover raggiungere coloro i quali giudichiamo i migliori, cos?, non appena [ubi] disperiamo [lett. disperavimus, perf.; ma ? in atto la "legge delle anteriorit?"] di poterli superare o (quantomeno) eguagliare, la passione, insieme con la speranza, sfuma [senescit], e smette [desinit] di perseguire ci? che non pu? conseguire; e, abbandonando una materia per cos? dire [velut] appannaggio [occupatam] (di altri), va in cerca di una nuova, e - abbandonato quel campo in cui non siamo in grado di emergere, ancdiamo in cerca di un altro, nel quale sforzarci [nitamur]; ne segue che [sequitur ut] un cambiamento [transitus] frequente e costante ? il pi? grande impedimento della perfezione.

[18] Transit admiratio ab conditione temporum et ad urbium. Una urbs Attica pluribus omnis eloquentiae quam universa Graecia operibus usque floruit adeo ut corpora gentis illius separata sint in alias civitates, ingenia vero solis Atheniensium muris clausa existimes. 2 Neque hoc ego magis miratus sim quam neminem Argivum Thebanum Lacedaemonium oratorem aut dum vixit auctoritate aut post mortem memoria dignum existimatum. 3 Quae urbes eximiae alias talium studiorum fuere steriles, nisi Thebas unum os Pindari inluminaret: nam Alcmana Lacones falso sibi vindicant.

18. La meraviglia si sposta [transit] dal condizionamento dei tempi a quella delle citt? [prima Velleio ha studiato le ragioni, per lui plausibili, in base alle quali tanti ingegni si siano "condensati" in determinati periodi storici, e solo in quelli; ora, si passa alle citt?: perch? quegli stessi ingegni si sono "condensati" in particolari citt?, e non in altre?]. Una sola citt? attica fior? nell'eloquenza, per numero di opere, pi? che tutta l'intera Grecia, a tal punto da credere [existimes, crederesti] che i corpi di quel popolo fossero distribuiti [separata sint] nelle altre citt?, mentre, in verit?, gli ingegni si siano "condensati" [clausa, chiusi] nelle mura della sola Atene. E di ci? non mi meraviglio di pi? rispetto al fatto che nessun oratore di Argo, Tebe e Sparta sia stato considerato degno di autorit? in vita [dum vixit] o di memoria dopo la morte. Le suddette citt? furono sterili a riguardo di tali studi (oratorii), ad eccezione della sola Tebe, illustrata dalla voce [os] di Pindaro [lett. la costruzione ? all'attivo]; difatti, a torto [falso] gli Spartani rivendicano a s? [cio?, come concittadino] Alcmane.

Trad. Bukowski
  Storia di Roma.Velleio Patercolo
      Re: Storia di Roma.Velleio Patercolo
 

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