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Mittente:
Bukowski
Re: seneca.polibio XVII. GRAZIE   stampa
Data:
19/07/2002 4.23.03




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Non c'? di che.

Seneca, Consolazione a Polibio, XVII

Devi, dunque, osservare con molta attenzione [intueri] tutti coloro di cui ho fatto menzione [rettuli] poc'anzi, (che sono) o (gi?) ascesi al cielo [ovvero, accolti nel "consesso divino"] o molto vicini (a farlo) [ad esservi accolti] e sopportare [ferre] di buon grado [aequo animo] la Fortuna [lascio intradotto] che porge anche a te le (sue) mani, (mani) che non tiene lontane neanche [ne? quidem] da coloro, sulla cui testa prestiamo giuramento [iurare per aliquem, idiomatico; ad es. iurare per Iovem]; devi (inoltre) prendere ad esempio [imitari] la loro fermezza [firmitatem] nel sopportare e vincere i dolori, per quanto sia lecito, per un uomo, percorrere orme divine [ovvero, condurre una vita "sovra-umana"; solo gli dei, e i "santi", hanno il dono dell'atarassia].
Sebbene, per altri contesti [rebus], vi siano grosse differenze [discrimina] di dignit? e nobilt?, (tuttavia) la virt? ? accessibile a tutti [est posita in medio]: (la virt? infatti) non sdegna alcuno, a patto che [modo] costui si ritenga degno di essa. Di certo, imiterai in modo buono e giusto [optime] quegli (uomini) [di cui Seneca ha parlato in precedenza (quos paulo ante rettuli)], i quali - pur potendo indignarsi di non essere esenti [exortes, regge gen.], loro stessi, da tal sorta di male [huius mali] - pur tuttavia non hanno giudicato un'ingiuria, bens? una legge (necessaria) della condizione mortale, essere assimilati agli altri uomini sotto quest'unico punto di vista [in hoc uno], e non hanno sopportato il corso degli eventi [quod acciderat] senza eccessiva acrimonia [nec nimis acerbe et aspere] e senza piagnistei da donnicciuole [nec molliter et effeminate; rendo cos?, "includendo" gli avverbi]. Difatti, (se) non ? proprio dell'uomo qualunque [genitivo di pertinenza] non avvertire i mali che lo fanno soffrire [lett. sua mala], (di converso) non ? tipico del vero uomo [ho reso "homo" con "uomo qualunque" e "vir" con "vero uomo" per segnare la profonda differenza "morale", di eccellenza, tra i due termini] non (riuscire a) sopportarli [i mali di cui sopra].
Tuttavia - dopo aver fatto menzione di tutti i Cesari, cui la cattiva sorte carp? fratelli e sorelle - non potrei tacere di colui che [hunc] meriterebbe d'esser espulso [excerpendum] dall'intero novero degli imperatori; (colui) che la natura fece nascere [edidit] per la vergogna e la rovina della razza umana; (e oggi solo) ma clemenza di un principe mitissimo ricostruisce un impero da quello [l'imperatore di cui sopra] messo a ferro e fuoco fin dalle fondamenta.
C. Cesare, mortagli la sorella Drusilla - uomo non in grado [qui non? posset] di provar n? dolore n? [ho reso con n?? n?? non magis? quam] godimento cos? come dovrebbe addirsi (invece) ad un principe [perifrasi per "principaliter] - si dilegu? [profugit] dalla vista e dai rapporti con in suoi concittadini, non presenzi? alle esequie della sorella, non tribut? alla sorella gli onori funebri [iusta; pl. tantum], ma si consolava [elevabat mala] del gravissimo lutto giocando a dadi, a scacchi [forus, i; maschile], e con altri depravati "passatempi" [occupationibus] di tal risma [huiusmodi].
Vergogna dell'impero!! Il giocare d'azzardo [alea] fu il passatempo usato da [lett. di] un principe in lutto [lugentis] per la propria sorella. Lo stesso Gaio, ancora lui!, con folle incostanza, ora [modo] si lasciava crescere [summittens] barba e capelli, ora se li rasava, ora vagabondava errabondo per i lidi d'Italia e di Sicilia, ma abbastanza certo se volere che la sorella fosse compianta o venerata, per lo stesso tempo in cui le dedicava templi e pulvinari [=cuscini sacri] e colpiva con efferata ostilit? coloro i quali avevano mostrato poca mestizia. Infatti, sopportava i colpi della mala sorte [adversarum rerum] con la stessa incostanza d'animo, con cui - insuperbito [elatus, da "effero"] dalla buona sorte [eventu secundarum] - si ringalluzziva oltre l'umano limite. Lungi da ogni vero Romano [vd. sopra] codesto esempio: distogliere l'animo [sevocare] dal proprio lutto con distrazioni [lusibus] fuori luogo [intempestivis], oppure sollecitarlo con la turpitudine dell'(ipocrita) luttuosa mestizia [lett. "sordes" sta per trasandatezza degli abiti, in spec. per lutto), o (infine) distrarlo (considerando) i mali altrui, per una consolazione che di umano non ha nulla.

Trad. Bukowski
  seneca.polibio XVII. GRAZIE
      Re: seneca.polibio XVII. GRAZIE
 

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