Data:
25/07/2002 10.11.11
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Quintiliano, "recensendo" lo stile di Sallustio [Institutio, X, 1, 102], scrisse: " Ideoque illam inmortalem Sallusti velocitatem diversis virtutibus consecutus est". Immortale "velocit?", di ascendenza, tra l'altro tucididea, come del resto il modo di fare storia: "Nec opponere Thucydidi Sallustium verear" [Institutio, X, 1, 101]. Seneca [Epistole, CXIV, 17], invece: "Sic Sallustio vigente anputatae sententiae et verba ante expectatum cadentia et obscura brevitas fuere pro cultu". Brevit? "oscura", pensieri tronchi, parole che arrivano inaspettate. Eccoti, caro babaluga, il dilemma della critica su Sallustio. Io, personalmente, sto con Quintiliano. Sallustio ha rappresentato una rivoluzione, nello scrivere di storia. E il perno di questa rivoluzione ? proprio la sua "inconcinnitas", la sua, come si dice, "mancanza di simmetria". Ci sarebbe da discutere se questa inconcinnitas sia tipica della sua natura, e della tumultuosit? del suo riflettere, o sia invece dettata dall'andamento peculiare della nuova storiografia monografica e "ritrattistica", da lui inaugurata. Diciamo che la verit?, come spesso avviene, sta nel mezzo, e che i due aspetti si richiamano in circolo. In cosa consiste, questa inconcinnitas? Le parole di Seneca, sopra riportate, la riassumono magistralmente, e si attagliano, in modo altrettanto magistrale, al nostro brano. Come la ottiene, Sallustio, questa inconcinnitas? Con vari espedienti: utilizzo di asindeti, zeugmi, costruzioni ad sensum, ellissi, chiasmi, e via dicendo. Uno stile narrativo "rapsodico" che ? la cifra della sua speditezza e del coinvolgimento cui riesce ad indurre il lettore. Nel caso del nostro brano [Giugurta, 95] questa speditezza viene resa quasi esclusivamente dall'uso, direi esasperato, della paratassi [Sulla gentis patriciae nobilis fuit, familia prope iam extincta maiorum ignavia, litteris Graecis atque Latinis iuxta (atque doctissime) eruditus, animo ingenti, cupidus voluptatum, sed gloriae cupidior; otio luxuriose esse, tamen ab negotiis numquam voluptas remorata, nisi quod de uxore potuit honestius consuli; facundus, callidus et amicitia facilis, ad simulanda negotia altitudo ingeni incredibilis, multarum rerum ac maxime pecuniae largitor] e di una parsimonia linguistica che mira all'essenziale e a creare, in contrasto, effetti di ridondanza in chi legge. Nota poi l'eccedenza anaforica di "-is-", tipicamente sua: gentis - nobilis - litteris - Graecis - Latinis - negotiis - facilis - incredibilis? ; nota, ancora, il gusto per la grafia arcaica (forse nel testo latino, che hai a tua disposizione, quest'elemento non si evidenzia; tuttavia, nel testo originario, al posto ad es. di "neque enim alio loco de Sullae rebus dicturi sumus et L. Sisenna, optime et diligentissime omnium? " abbiamo "neque enim alio loco de Sullae rebus dicturi sumus et L. Sisenna, optUme et diligentissUme omnium?"). Questi elementi concorrono a conferire, al dettato sallustiano, una patina d'antichit?, un rapporto continuo con la tradizione linguistica che ha una sua valenza indubbiamente anche (se non soprattutto, in verit?) politica. Allora, in poche righe, Sallustio d? di Silla un ritratto assoluto ed efficace: i termini sono volentieri esagerati [luxuriose, remorata, incredibilis?]. Nota, ancora, che ogni qualit? positiva viene, in genere, immediatamente controbilanciata da una qualit? negativa. Nota, inoltre, come le "qualit? morali" si alternino a "cadute materiali" [ad es., facundus, callidus et amicitia facilis, ad simulanda negotia altitudo ingeni incredibilis, multarum rerum ac maxime pecuniae largitor] e con esse si confondano, o acquistino, quantomeno, un taglio "sospetto" [manicheismo sallustiano anima-corpo; bene-male]: non c'? simmetria, in questo? Ma a parte ci?, ? sintomo, questo, anche dell'animo "combattuto" di Sallustio, il quale seppur - da buon moralista - conosce i netti confini tra il bene e il male, pur tuttavia oscilla tra la denigrazione del suo personaggio, e una sottointesa, e malcelata a questo punto, ammirazione dello stesso. Un'ammirazione che, forse, appare ancor pi? evidente nel ritratto di Catilina. Vedi, ? proprio il termine "ritratto" a consegnarci la chiave di volta: un ritratto si fa con pennellate spesse e brevi, fugaci ma corpose; il pittore segue il proprio estro, e ad un tratto guarda il suo modello, ad un tratto guarda dentro di s?. Questa tensione rappresenta il fascino della prosa di Sallustio. Nel caso di Silla, poi, il tutto viene impreziosito dalla gemma finale: la figura retorica della (simulata) "reticenza" o aposiopesi: Sallustio lascia in sospeso il suo ritratto (e il lettore) dicendo: "Nam postea quae fecerit, incertum habeo pudeat an pigeat magis disserere". Non dicendo alcunch?, lascia presumere tutto?
Analogie-differenze col ritratto di Catilina? Beh, innanzitutto, una, fondamentale. Il ritratto di Catilina rappresenta, in pratica, dopo le elucubrazioni filosofiche dell'esordio e gli accenni autobiografici, la premessa vera e propria alla "Congiura", e la trama e l'ordito che la informa. Nota, a tal proposito, le "formule" con cui Sallustio inaugura i due ritratti: "De cuius hominis moribus pauca prius explananda sunt, quam initium narrandi faciam" a proposito di Catilina; "Sed quoniam nos tanti viri res admonuit, idoneum visum est de natura cultuque eius paucis dicere" a proposito di Silla. L'attacco retorico ? lo stesso: Sallustio si (ci) ripromette una pennellata di poche parole [pauca? paucis?]. Ciononostante, il ragguaglio su Catilina ? portante: non si potrebbe leggere la Congiura senza tener ben fisse in mente quelle parole; il ragguaglio su Silla, invece, ? incidentale, cade nel mezzo del racconto, come una digressione. Per il resto, da un punto di vista stilistico, le due narrazioni procedono con la stessa rapsodicit? e speditezza; del resto, anche da un punto di vista, come dire, di estrazione sociale, "caratteriale" e di levatura storica, i due personaggi non ? che si differenzino molto. Ed ecco quindi la figura retorica pi? importante che emerge da tutto questo: la "prosopopea": Catilina e Silla divengono la "personificazione" assoluta, e concreta, di una certa tipologia romana, di un male che assedia lo Stato, le salde fondamenta di Roma: incarnano la crisi della res publica; figure, entrambi, un male "luciferino", cio? che risulta circondato da una certa aura, da un certo fascino, da cui neanche Sallustio riesce, come detto, a sottrarsi del tutto. Catilina e Silla, due personaggi malvagi, che hanno tuttavia avuto la forza e il potere di incidere, indelebilmente, nella storia di Roma.
?:::Bukowski:::?
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