Data:
02/09/2002 23.34.42
rispondi
al msg
nuovo
msg
cerca nel forum
torna
all'indice |
Non c'? di che.
Plinio, Lettere, VI, 4 C. PLINIUS CALPURNIAE SUAE S. (1) Numquam sum magis de occupationibus meis questus, quae me non sunt passae aut proficiscentem te valetudinis causa in Campaniam prosequi aut profectam e vestigio subsequi. (2) Nunc enim praecipue simul esse cupiebam, ut oculis meis crederem quid viribus quid corpusculo apparares, ecquid denique secessus voluptates regionisque abundantiam inoffensa transmitteres. (3) Equidem etiam fortem te non sine cura desiderarem; est enim suspensum et anxium de eo quem ardentissime diligas interdum nihil scire. (4) Nunc vero me cum absentiae tum infirmitatis tuae ratio incerta et varia sollicitudine exterret. Vereor omnia, imaginor omnia, quaeque natura metuentium est, ea maxime mihi quae maxime abominor fingo. (5) Quo impensius rogo, ut timori meo cottidie singulis vel etiam binis epistulis consulas. Ero enim securior dum lego, statimque timebo cum legero. Vale.
(Plinio saluta la sua) cara Calpurnia. Non sono mai stato pi? rammaricato [questus, da queror; regge, in questa costruzione, appunto de + abl.] (a riguardo) dei miei impegni (di quanto non lo sia in questo momento) - (impegni) che non mi hanno consentito [passae sunt, da "patior"] n? di accompagnar(ti) nel tuo viaggio di cura in Campania [lett. mentre ti recavi (proficiscentem) in Campania per motivi di salute], n? di raggiungerti [subsequi], una volta che, di punto in bianco [e vestigio, espress. avverbiale], te ne sei ripartita. Soprattutto in quest'istante [nunc] vorrei [cupiebam, con valore potenziale] esserti accanto [esse simul], per appurare - con i miei (stessi) occhi - se ti sei ristabilita [rendo cos? "quid viribus quid corpusculo apparares", di facile senso] e se hai smaltito [transmitteres, lett. hai lasciato passare], senza traumi [inoffensa; lett. ? attributo riferito a Calpurnia], le frivolezze [voluptates] d(i qu)el luogo [securus, genitivo di 4a; sta ad indicare la dimora, generalmente di campagna, in cui ci si ritirava in villeggiatura] e l'opulenza d(i qu)ella zona. Eppure, mi mancheresti [desiderarem te, sentirei nostalgia di te], non senza (una qualche) trepidazione [cura], anche (se ti sapessi) ristabilita [fortem, in salute]; trasmette, infatti, incertezza ed ansia [lett. ? infatti?] il non ricever notizie - per un certo periodo di tempo [interdum] - da [lett. non sapere nulla a riguardo di] chi si vuol un mondo di bene [diligas ardentissime; la seconda persona qui ? generica, e conviene renderla? impersonale]. In questo momento, poi, la consapevolezza [ratio] della tua assenza e insieme [rendo cos? la correlazione del cum? tum?] della tua debole salute, mi lascia inquieto [exterret], di un'inquietudine [sollicitudine] che non saprei dire o pesare [lett. incerta et varia]. Ho paura di tutto, immagino di tutto [Plinio, come si dice qui da noi, "si fa i film" :) ] e com'? tipico di coloro che provano paura, m'immagino soprattutto le cose per me pi? terribili. Per questo motivo [quo], ti scongiuro [rogo impensius] di tranquillizzarmi [consulas timori meo], (inviandomi) ogni giorno una [singulis], o anche due, lettere. Mi tranquillizzer? leggendole, anche se - appena dopo averle lette [cum legero, dopo che le avr?] - sar? subito (e di nuovo) assalito dai timori [lett. prover? timore, temer?]. Saluti.
Quintiliano, I, 1.12 sgg. (12) A sermone Graeco puerum incipere malo, quia Latinum, qui pluribus in usu est, uel nobis nolentibus perbibet, simul quia disciplinis quoque Graecis prius instituendus est, unde et nostrae fluxerunt. (13) Non tamen hoc adeo superstitiose fieri uelim, ut diu tantum Graece loquatur aut discat, sicut plerisque moris est. Hoc enim accidunt et oris plurima uitia in peregrinum sonum corrupti et sermonis, cui cum Graecae figurae adsidua consuetudine haeserunt, in diuersa quoque loquendi ratione pertinacissime durant. (14) Non longe itaque Latina subsequi debent et cito pariter ire. Ita fiet ut, cum aequali cura linguam utramque tueri coeperimus, neutra alteri officiat.
Ritengo preferibile [malo] che il fanciullo cominci (la propria formazione a partire) dalla lingua greca, dato che il Latino - che ? la nostra lingua-madre [rendo cos?: " qui pluribus in usu est "] - volenti o nolenti lo assimiler? (comunque), e poi perch? bisogna insegnare per prime le discipline greche, dalle quali son derivate anche le nostre. Ciononostante, non vorrei che ci? avvenisse in modo cos? scontato [rendo cos? "superstiziose"] tal che (egli [il fanciullo] alla fine) parli e impari soltanto il greco, secondo (l'odierna) moda diffusa. (Agendo) cos?, infatti, potrebbero verificarsi [lett. accidunt, si verificano] altres? numerosi difetti [vitia] di pronuncia [oris - os -] - deviata verso l'inflessione straniera - e di linguaggio: tal che una volta ch'essi si siano fissati [haeserutn] in virt? d'una assidua frequentazione del modo di parlare greco [Graecae figurae], stentano a scomparire [lett. perdurano in modo molto pertinace] anche qualora si assuma una diversa parlata [lett. in ?]. E dunque, (lo studio del) Latino deve seguire a ruota [subsequeri non longe] (quello del greco), e ben presto (da un certo punto in poi, essi devono) procedere insieme, di modo che [ita fiet ut], avendo iniziato a coltivare con egual cura entrambe le lingue, nessuna delle due far? d'ostacolo [officiat] all'altra.
Tradd. Bukowski
|