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bukowski
Re: elegie   stampa
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15/01/2003 14.13.14




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Properzio, Elegie, III, 1-2


I
Callimachi Manes et Coi sacra Philitae,
in vestrum, quaeso, me sinite ire nemus.
primus ego ingredior puro de fonte sacerdos
Itala per Graios orgia ferre choros.
dicite, quo pariter carmen tenuastis in antro
quove pede ingressi? quamve bibistis aquam?
ah valeat, Phoebum quicumque moratur in armis!
exactus tenui pumice versus eat,
quo me Fama levat terra sublimis, et a me
nata coronatis Musa triumphat equis,
et mecum in curru parvi vectantur Amores,
scriptorumque meas turba secuta rotas.
quid frustra immissis mecum certatis habenis?
non datur ad Musas currere lata via.
multi, Roma, tuas laudes annalibus addent,
qui finem imperii Bactra futura canent.
sed, quod pace legas, opus hoc de monte Sororum
detulit intacta pagina nostra via.
mollia, Pegasides, date vestro serta poetae:
non faciet capiti dura corona meo.
at mihi quod vivo detraxerit invida turba,
post obitum duplici faenore reddet Honos;
omnia post obitum fingit maiora vetustas:
maius ab exsequiis nomen in ora venit.
nam quis equo pulsas abiegno nosceret arces,
fluminaque Haemonio comminus isse viro,
Idaeum Simoenta Iovis cum prole Scamandro,
Hectora per campos ter maculasse rotas?
Deiphobumque Helenumque et Pulydamantis in armis
qualemcumque Parim vix sua nosset humus.
exiguo sermone fores nunc, Ilion, et tu
Troia bis Oetaei numine capta dei.
nec non ille tui casus memorator Homerus
posteritate suum crescere sensit opus;
meque inter seros laudabit Roma nepotes:
illum post cineres auguror ipse diem.
ne mea contempto lapis indicet ossa sepulcro
provisumst Lycio vota probante deo.

Spirito di Callimaco! del coo Filita ombra sacra!
ve ne prego, lasciatemi entrar nel vostro bosco.
Sacerdote, io per primo, mi accingo da pura sorgente,
a evocar riti italici con i cori dei Greci.
Dite in qual antro carmi di egualleggiadria componeste?
come vi entraste? e quale fu il fonte al qual beveste?
Oh basta con chiunque fermar vuole Febo tra l'armi!
voli il verso limato da pomice leggera,
l? dove m'alza in alto da terra la Fama, e la Musa
ch'io ho creato trionfi su destrieri infiorati;
e insieme a me sul carro vengano pur gli Amorini
e segua le mie ruote la folla dei poeti.
Perch?, a briglie allentate, invano con me fate a gara?
Non ? larga la strada per correre alle Muse.
Molti che canteranno Battra confin del tuo impero,
Roma, le glorie tue scriveran negli Annali;
Fa questi carmi, da leggere in pace, port? la mia pagina
dal monte delle Muse, per mai percorsa via.
Date leggiadri serti, Pegasidi, al vostro poeta:
non fan per la mia testa le solenni corone.
Ma quello che a me vivo toglier? la gente invidiosa,
la Fama, dopo morto, mi render? ad usura.
Tutto, dopo la morte, la vetust? fa pi? grande,
pi? grande, per la morte, va sulle bocche il nome.
Chi dei bastion saprebbe, dal cavaI di legno abbattuti,
dei fiumi combattenti contro l'emonio eroe,
il Simoenta id?o col figlio di Giove, Scamandro,
o d'Ettor che tre volte macchi? le ruote in campo?
La propria terra appena saprebbe di Paride armato,
di Eleno e di Deifobo e di Polidamante.
Ora saresti, Ilio, di breve discorso argomento,
e tu, Troia, due volte presa dal nume eteo.
E cosi pure Omero, cantor del tuo triste destino,
senti farsi piu grande tra i posteri il suo carme.
Mi dar? gloria Roma fra i suoi pi? tardi nepoti,
pres?go gi? quel giorno prevedo oltre la morte.
Perch? un sasso non indichi le mie ossa in tomba deserta
provvide il licio dio che assente ai voti miei.
Intanto dei miei carmi occorre ch'io rientri nei temi:
goda del tono usato commossa la mia donna.


II
Carminis interea nostri redeamus in orbem,
gaudeat ut solito tacta puella sono.
Orphea delenisse feras et concita dicunt
flumina Threicia sustinuisse lyra;
saxa Cithaeronis Thebanam agitata per artem
sponte sua in muri membra coisse ferunt;
quin etiam, Polypheme, fera Galatea sub Aetna
ad tua rorantis carmina flexit equos:
miremur, nobis et Baccho et Apolline dextro,
turba puellarum si mea verba colit?
quod non Taenariis domus est mihi fulta columnis,
nec camera auratas inter eburna trabes,
nec mea Phaeacas aequant pomaria silvas,
non operosa rigat Marcius antra liquor;
at Musae comites et carmina cara legenti,
nec defessa choris Calliopea meis.
fortunata, meo si qua's celebrata libello!
carmina erunt formae tot monumenta tuae.
nam neque pyramidum sumptus ad sidera ducti,
nec Iovis Elei caelum imitata domus,
nec Mausolei dives fortuna sepulcri
mortis ab extrema condicione vacant.
aut illis flamma aut imber subducet honores,
annorum aut tacito pondere victa ruent.
at non ingenio quaesitum nomen ab aevo
excidet: ingenio stat sine morte decus.

Dicono che fermasse Orfeo con la cetra di Tracia
le belve e le correnti precipiti dei fiumi;
che furon mossi dall'arte, del Citerone i macigni
e s'uniron spontanei a far le mura a Tebe;
e la crudel Galatea ai carmi tuoi, Polifemo,
volse i cavalli roridi alle falde dell'Etna.
Devo meravigliarmi, protetto da Apollo e da Bacco,
se schiere di fanciulle onorano i miei versi?
Non ho una casa che poggia sopra colonne Tenarie,
n? un soffitto d'avorio fra travi ricche d'ori,
e n? i frutteti miei eguagliano i boschi feaci,
n? l'acqua Marcia irriga per me aspri recessi,
ma ho compagne le Muse, e versi graditi a chi legge,
e per i cori miei, Calliope spossata.
Fortunata la donna che i miei versi avran celebrata:
son monumento i carmi alla bellezza tua.
Ma n? delle piramidi la spesa che giunse alle stelle,
n? il tempio dell'eleo Giove, che imita il cielo,
n? del sepolcro di Mausolo la maestosa ricchezza
dall'estremo destino di morte vanno immuni.
O sar? r acqua o il fuoco a struggere il loro splendore
o quelle moli immense vinte cadran dal tempo.
Ma non si perde col tempo la fama raggiunta col genio,
del genio la grandezza, oltre la morte va.

Tradd. F. Brindesi
  elegie
      Re: elegie
 

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