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Mittente:
bukowski
Re: per marted? 9 settembre!   stampa
Data:
07/09/2003 15.28.33




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Plinio, Lettere, III, 5 passim

(8) Sed erat acre ingenium, incredibile studium, summa vigilantia. Lucubrare Vulcanalibus incipiebat non auspicandi causa sed studendi statim a nocte multa, hieme vero ab hora septima vel cum tardissime octava, saepe sexta. Erat sane somni paratissimi, non numquam etiam inter ipsa studia instantis et deserentis. (9) Ante lucem ibat ad Vespasianum imperatorem - nam ille quoque noctibus utebatur -, inde ad delegatum sibi officium. Reversus domum quod reliquum temporis studiis reddebat. (10) Post cibum saepe - quem interdiu levem et facilem veterum more sumebat - aestate si quid otii iacebat in sole, liber legebatur, adnotabat excerpebatque. Nihil enim legit quod non excerperet; dicere etiam solebat nullum esse librum tam malum ut non aliqua parte prodesset. (11) Post solem plerumque frigida lavabatur, deinde gustabat dormiebatque minimum; mox quasi alio die studebat in cenae tempus. Super hanc liber legebatur adnotabatur, et quidem cursim. (12) Memini quendam ex amicis, cum lector quaedam perperam pronuntiasset, revocasse et repeti coegisse; huic avunculum meum dixisse: 'Intellexeras nempe?' Cum ille adnuisset, 'Cur ergo revocabas? decem amplius versus hac tua interpellatione perdidimus.' (13) Tanta erat parsimonia temporis. Surgebat aestate a cena luce, hieme intra primam noctis et tamquam aliqua lege cogente.
(14) Haec inter medios labores urbisque fremitum. In secessu solum balinei tempus studiis eximebatur - cum dico balinei, de interioribus loquor; nam dum destringitur tergiturque, audiebat aliquid aut dictabat -. (15) In itinere quasi solutus ceteris curis, huic uni vacabat: ad latus notarius cum libro et pugillaribus, cuius manus hieme manicis muniebantur, ut ne caeli quidem asperitas ullum studii tempus eriperet; qua ex causa Romae quoque sella vehebatur. (16) Repeto me correptum ab eo, cur ambularem: 'poteras' inquit 'has horas non perdere'; nam perire omne tempus arbitrabatur, quod studiis non impenderetur.

Ma era di intelligenza vigorosa, di incredibile applicazione, di grande resistenza alla veglia. Cominciava a lavorar vegliando alle feste di Vulcano, non per prendere gli auspici, ma per studiare, a partire da notte fonda, d'inverno dalla settima ora o, al pi? tardi, dall'ottava, sovente dalla sesta. Era del resto prontissimo a prender sonno, sovente riuscendo a lasciarlo o riprenderlo durante il proprio lavoro. Prima dell'alba si recava dall'imperatore Vespasiano (poich? anche questi profittava della notte), poi all'ufficio che gli era stato affidato. Rientrato a casa, il tempo che gli restava dedicava di nuovo allo studio. Sovente d'estate, dopo il pasto, che consumava durante il giorno, leggero e semplice all'uso antico, si sdraiava al sole, se ne aveva il tempo, si faceva leggere un libro, prendeva delle note e degli estratti. Nulla egli leggeva, da cui non traesse estratti: soleva infatti dire che non vi era libro tanto da poco, che non riuscisse in qualche parte utile. Dopo esser stato al sole si lavava quasi sempre con acqua fredda; poi si rifocillava e faceva un sonnellino; dopo, quasi fosse cominciato un nuovo giorno, studiava fino all'ora di cena. Durante questa gli leggevano un libro, si prendevano note, il tutto rapidamente. Mi ricordo che uno dei suoi amici, avendo il lettore commesso un errore, l'aveva fermato e invitato a ripetere; ma mio zio gli disse: ?Avevi ben compreso?? e poich? quegli assentiva, soggiunse: ?E perch? allora l'hai interrotto? abbiamo perso pi? di dieci righe per questa tua interruzione?. Tale era in lui il desiderio di economizzare il tempo. Si alzava da tavola d'estate mentre era ancor giorno, d'inverno alla prima ora della notte e come se una legge glielo imponesse.
Questo era il suo genere di vita in mezzo alle occupazioni e il fracasso della citt?. In campagna solo il momento del bagno era sottratto allo studio: quando dico bagno intendo la fase pi? intima; giacch? mentre lo frizionavano e lo asciugavano ascoltava una lettura o dettava. In viaggio, come liberato da ogni altra cura, si dedicava soltanto al lavoro: gli stava a lato un segretario con un libro e delle tavolette, e d'inverno difendeva le mani con lunghe maniche, in modo che l'inclemenza della stagione non rubasse qualche ora allo studio; per questa ragione anche a Roma non viaggiava che in lettiga. Mi ricordo di essere stato ripreso da lui perch? andavo a piedi: ?Potresti? mi disse ?Don perdere queste ore?, giacch? egli considerava perduto ogni istante che non fosse dedicato allo studio.


Trad. L. Rusca

Plinio, Panegirico, 12-13 passim

At nunc rediit omnibus terror et metus, et votum imperata faciendi. Vident enim Romanum ducem, unum ex illis veteribus et priscis; quibus imperatorium nomen addebant contecti caedibus campi et infecta victoriis maria. Accipimus obsides ergo, non emimus: nec ingentibus damnis immensisque muneribus paciscimur, ut vicerimus. Rogant, supplicant; largimur, negamus, utrumque ex imperii maiestate: agunt gratias, qui impetraverunt; non audent queri, quibus negatum est. An audeant, qui sciant, te adsedisse ferocissimis populis eo ipso tempore, quod amicissimum illis, difficillimum nobis: quum Danubius ripas gelu iungit, duratusque glacie ingentia tergo bella transportat: quum ferae gentes non telis magis, quam suo coelo, suo sidere armantur? Sed ubi in proximo tu, non secus ac si mutatae temporum vices essent, illi quidem latibulis suis clausi tenebantur; nostra agmina percursare ripas, et aliena occasione, si permitteres, uti, ultroque hiemem suam barbaris inferre, gaudebant.
Haec tibi apud hostes veneratio: quid apud milites?

Ma presentemente ? tornato in tutti i nemici il terrore, la paura e il proposito di ubbidire. Nel duce romano essi ravvisano uno di quelli del vecchio stampo, ai quali conferivano il titolo d'Imperatore le campagne coperte di cadaveri, i mari rosseggianti delle loro vittorie. Riceviamo dunque gli ostaggi, non li comperiamo: n? a costo di enormi spese e di immensi doni patteggiamo la vittoria.
Essi ci pregano, ci scongiurano; noi concediamo o neghiamo la grazia; l'una e l'altra cosa se il richiede la maest? dell'impero. Coloro che vengono da noi esauditi ci ringraziano; e non hanno ardire di fiatare quegli altri che ricevono il rifiuto. E come potrebbero ardire coloro che ben sanno che tu hai posto l'assedio a popoli ferocissimi in quella stagione appunto che ? la pi? propizia a loro, la pi? molesta a noi, allorch? il Danubio congiunge le due rive col gelo e assodato coi ghiacci trasporta poderosi eserciti sul dorso; allorch? quelle fiere nazioni si armano non tanto di ferro che del proprio clima e della propria stagione? Ma al tuo primo avvicinarsi, non altrimenti che se le vicende delle stagioni si fossero cambiate, quei barbari se ne stavano appiattati nelle loro spelonche e intanto le nostre legioni non chiedevano che di fare incursioni lungo le rive, e, se tu lo volevi, profittare dei vantaggi di cui si valeva prima il nemico, usando contro quei barbari l'inclemenza del loro clima. Tale ? il rispetto per te presso i nemici.

Trad. L. Rusca

T?invito a tener d?occhio qui: http://www.progettovidio.it/FAQ/forum...

ci? vuol dire che fino ad ora sono stato tollerante
  per marted? 9 settembre!
      Re: per marted? 9 settembre!
 

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