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              --- I costumi e la vita 
              romana  --- 
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                   CIBI 
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                   Il nutrimento essenziale dei Romani era rappresentato 
                    dalla polenta di frumento (puls o pulmentus), da legumi 
                    (fave, ceci, lenticchie), da farro e da ortaggi. Nella preparazione 
                    della polenta, veniva utilizzato principalmente il farro (far), 
                    il cereale più coltivato in quel periodo; più tardi vennero 
                    utilizzati anche miglio, panico, orzo, la farina di fave o 
                    di ceci. Il farro poteva essere cotto sia in grani interi, 
                    sia macinato o frantumato nel mortaio e ridotto in polvere 
                    assumendo un aspetto molto simile all'attuale farina (da far, 
                    farro). La polenta era preparata in un contenitore di terracotta 
                    detto pultarium dove al farro trattato si aggiungeva 
                    acqua, sale e un po di latte e a seconda dei gusti veniva 
                    arricchito con fave (puls fabata), cavoli, cipolle, 
                    formaggio (puls caseata) ed anche con alcuni pezzi 
                    di carne o di pesce. Il risultato finale era un miscuglio 
                    di ingredienti chiamato satura o satira, da cui l'utilizzo 
                    moderno di queste due parole: saturazione e satira nel senso 
                    di battute o scherzi pesanti, poichè portava in breve tempo 
                    alla sazietà di chi lo mangiava.  
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                   Con l'arrivo del pane sulle tavole, la polenta, 
                    che era stata l'alimento base per molto tempo, vide diminuire 
                    la sua importanza. Vi erano tre tipi di pane:  
                    - panis plebeius o rusticus, il pane nero o pane dei 
                    poveri  
                    - panis secundarius, il pane bianco 
                    - panis candidus o mundus, il pane bianco di farina 
                    finissima o pane dei ricchi.  
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                   Il grano con cui era fatto arrivò ad avere 
                    un'importanza primaria, e i Romani arrivarono perfino alla 
                    promulgazione di leggi che regolavano la corretta distribuzione 
                    di questo prodotto, come la cura annonae, la lex Clodia e 
                    la lex Sempronia frumentaria. Furono organizzati speciali 
                    servizi di approvvigionamento, facendo arrivare il grano via 
                    mare da zone lontane, depositandolo in magazzini speciali 
                    per la successiva distribuzione alla popolazione sotto forma 
                    di grano in chicchi oppure come avvenne in un secondo momento, 
                    direttamente in pani già cotti.  
                  Il pesce era un cibo molto diffuso, sia di 
                    fiume che di mare, sia quello allevato in grandi vivai (vivaria). 
                    I pesci utilizzati nella cucina romana erano di circa 150 
                    specie, si andava da quelli delle tavole dei ricchi (orate, 
                    triglie, sogliole, dentici, trote ecc.) a quelli delle tavole 
                    dei poveri, più piccoli, di basso prezzo, di solito conservati 
                    in salamoia (menae, gerres ecc.). Molto richiesti 
                    erano anche aragoste, polpi, datteri, gamberi e ostriche. 
                     
                    Le ostriche (ostrea) che Plinio definiva il "vanto 
                    delle mense opulente" erano molto ricercate tanto da essere 
                    allevate dagli uomini più facoltosi in allevamenti personali. 
                    La posata per questo frutti di mare era uno speciale cucchiaio 
                    a punta (cochler) con cui si aprivano e si vuotavano. 
                   
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                    La mensa romana era basata sul pesce ma anche la carne aveva 
                    una sua importanza. Le carni più utilizzate erano quelle di 
                    bue e di maiale, ma non era raro trovare anche carne di cervo, 
                    di asino selvatico (onager), di cinghiale e di ghiro; 
                    di quest'ultimo, le cui carni erano molto ricercate, esistevano 
                    anche alcuni allevamenti (gliraria) e veniva servito 
                    di solito disossato e farcito. Molto utilizzata anche la carne 
                    di uccelli. Oltre alle specie classiche ancora da noi utilizzate 
                    (tordi, piccioni ecc.), venivano cucinati anche alcuni trampolieri 
                    come i fenicotteri, di cui era prelibata la lingua, le cicogne 
                    e le grù. Piatto molto ricercato era quello a base di carne 
                    di pavone e di fagiano. Il pollo era considerato carne poco 
                    pregiata e la si trovava per lo più nell'alimentazione dei 
                    poveri. La carne veniva cucinata in moltissimi modi: arrosto, 
                    in umido e ripiena, con salse di vario genere.  
                  Le uova erano la base di ogni antipasto e 
                    venivano consumate rapidamente durante la giornata. Dal latte 
                    si ricavavano formaggi freschi e secchi e dolci con aggiunta 
                    di miele, farina e frutta; il burro era poco utilizzato in 
                    cucina in quanto era usato come medicinale o come unguento 
                    per il corpo. Di verdura si consumavano lenticchie, fave, 
                    ceci, piselli, lattughe, cavoli, carote, rape, cipolle, zucche, 
                    carciofi, asparagi, cetrioli, erbe lassative come malve e 
                    bietole, menta e i ricercatissimi funghi (boleti). 
                    Le olive erano sempre presenti sia sulle tavole dei ricchi 
                    che su quelle dei poveri.  
                    La frutta era costituita da mele (mala), pere (pira), 
                    ciliege (cerasa), susine (pruna), noci, mandorle 
                    (nux amygdala), castagne, uva fresca e passa e pesche. 
                    Dall'Armenia giungevano le albicocche che venivano utilizzate 
                    spesso spiaccicate, ricavandone una salsa che accompagnava 
                    molti piatti di carne, e dall'Africa arrivavano i datteri 
                    (dactyli). La frutta oltre che consumata fresca veniva 
                    utilizzata anche per ricavarne marmellate ed era un componente 
                    importante per la preparazione di dolci.  
                    
                  Nelle opulente mense dei ricchi, in occasione 
                    di grandi banchetti i piatti di carne o di pesce, venivano 
                    preparati nei modi più fantasiosi; era in queste occasioni 
                    che i cuochi sfoderavano la loro arte culinaria, servendo 
                    in tavola piatti a base di carne camuffati in modo che avessero 
                    l'aspetto di uno stupendo pesce alla griglia o sotto forma 
                    di vere e proprie sculture a tema mitologico. Molto famosi 
                    sono i piatti serviti nell'ormai epica cena di Trimalcione, 
                    descritta da Petronio nel Satiricon e rievocata alcuni 
                    secoli dopo da Macrobio. Qui vengono serviti alcuni piatti 
                    dall'aspetto esageratamente fantasioso che però rispecchia 
                    il modo a volte sfacciato di alcuni ricchi romani, di ostentare 
                    la loro magnificenza; fra questi pi atti viene servita una 
                    lepre con le ali in modo da raffigurare Pegaso, il cavallo 
                    alato di Bellerofonte, e una scrofa di cinghiale ripiena di 
                    tordi vivi con tanto di cinghialini, fatti di pasta, nell'atto 
                    di succhiare alle mammelle della madre.  
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