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Ovidio


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Sesto Properzio

--- Assisi? 50 ca a.C. – Roma, dopo il 15 a.C. ---

 

Vita.

La formazione e l'ingresso precoce nel mondo della poesia. P. nacque da agiata famiglia di rango equestre che però, dopo la guerra perugina del 41, perse buona parte dei suoi averi. Morto il padre, fu condotto dalla madre a Roma, dove fu avviato alla carriera forense. Ma P. rivelò precoce attitudine per la poesia: già al 28 a.C. risale la pubblicazione del suo I libro di elegie, il cosiddetto "monobiblos" ("libro unico"), intitolato dal nome della donna amata (Cynthia), secondo la tradizione dei poeti alessandrini.

Il successo che gli arrise spinse Mecenate ad ammetterlo nel suo celebre "circolo" (ma quella di P. fu, come vedremo in seguito, un' "integrazione difficile" [A. La Penna] al regime). Qui, P. conobbe i più importanti poeti dell'epoca: da Virgilio a Ovidio, al quale era solito recitare i propri "roventi" ("ignes") versi. Difficili, invece, i rapporti con Orazio, evidentemente a causa dei molto diversi ideali poetici. Tibullo e P. sembrano poi ignorarsi del tutto (gelosia reciproca?).

Il rapporto con Cinzia. Uno dei primi amori cantati dal poeta fu la giovane schiava Licinna, ma forse l'unico avvenimento davvero importante nella sua vita fu l'incontro con Cinzia. Hostia era il vero nome della donna, come ci riferisce Apuleio: il nome Cinzia sembra collegarsi con Apollo e Diana, che nacquero a Delo, sul monte Cinto (si ricordi, a proposito, anche la Delia di Tibullo). Cinzia, una fascinosissima donna, forse più grande di P., dagli occhi neri e dai capelli fulvi, colta e mondana, elegante, amante della danza, della poesia, ma anche di facili avventure d'amore (e dunque costituzionalmente infedele), dominò incontrastata nell'animo del poeta, nonostante il tormento continuato di un rapporto reso difficile dalla stessa eccessiva intensità della passione.

Si amarono, talora "nevroticamente", per quasi cinque anni. Cinzia morì intorno al 20 a.C., ma, dopo la sua scomparsa, la presenza e il desiderio di lei si fecero ancora più acuti nella mente del poeta. Dunque, una vera e definitiva "rottura" nel rapporto non ci fu mai: nonostante le due ultime elegie del III libro, quelle che vorrebbero segnare il "discidium", la separazione definitiva; nonostante la stessa morte di lei.

Opera e contenuti.

P. compose 4 libri di "elegie" (per un totale di 92 componimenti):

- Come "monobiblos", fu pubblicato - come detto - nel 28 il I libro (22 elegie); il suo contenuto è omogeneo: soprattutto, legami di amicizia e rivalità, ma su tutto domina la figura ora realisticamente sensuale, ora idealizzata di Cinzia, (col cui nome esso significativamente si apre), in una vicenda subito segnata da reciproche passioni e gelosie, tradimenti e riconciliazioni. Il tono prevalente è, tuttavia, ancora quello dell'abbandono malinconico e di un'atmosfera sognante.

- Tra il 28 e il 25 P. compose, invece, il II libro (34 elegie). <<Rispetto al "monobiblos", questo è meno omogeneo nel contenuto ed è anche il libro più problematico sia per lo stato in cui è giunto il testo, sia per alcune sue caratteristiche: è sempre dominante il tema amoroso, ma le situazioni sono spesso esasperate e tese, con un procedere a sbalzi, anche all'interno della stessa elegia, che porta alcuni interpreti a postulare lacune e/o trasposizioni di versi. Ma per altri, tutto ciò potrebbe essere voluto dallo stesso poeta: manifestazione, nella scrittura, di uno stato d'animo frenetico ed appassionato.

Si nota, infine, anche una più marcata accentuazione delle reminiscenze poetiche ed erudite, segno anche questo del carattere più impegnativo di questo libro (anche materialmente, il numero dei versi è circa il doppio rispetto al I). Ma soprattutto, si segnala l'incontro "ufficiale" con Mecenate, che certo operò per spingere anche P. verso la poesia celebrativa>> [R. Gazich, libero adattamento]: da ciò si spiega il fatto che il libro si apra con una "recusatio", un garbato rifiuto da parte del poeta di coltivare quel tipo di poesia.

- P. pubblicò il II libro forse insieme col III (25 elegie) nel 22. Quest'ultimo segna un mutamento decisivo, rispetto ai primi due: Cinzia è sempre presente, coi suoi umori e coi suoi amori, coi suoi abbandoni e le sue ripulse, ma accanto a questi temi "soliti" appaiono, ben rilevati, altri motivi: <<primo fra tutti, quello dell'ambiziosa consapevolezza del proprio valore di poeta e una più decisa adesione al tipo di poesia dotta e raffinata che era stata di Callimaco e di Fileta. Come ha ben chiarito il Fedeli, più che dell'amore P. ora s'interessa dello "status" di poeta d'amore, inteso sia come missione poetica, che come stile di vita, e lo si vede nella compatta e solenne dichiarazione di poetica delle 3 elegie proemiali, e anche nelle 2 successive, che trattano dell'opposizione fra poesia d'amore e l'avidità di conquista e di ricchezza. Notevoli, inoltre, anche i due epicedi (= canti funebri) per il naufrago Peto e per Marcello, nipote di Augusto morto a Baia nel 23. Sul fronte della passione per Cinzia, inoltre, c'è un calcolato accrescersi della tensione, fino all'ultima elegia del libro, che segnerebbe il distacco definitivo [il "discidium"] tra i due>> [R. Gazich, libero adattamento]

Non mancano, infine, motivi più scopertamente legati alle fortune e all'ideologia del regime augusteo: l'augurio per la spedizione contro i Parti [IV], la promessa a Mecenate di una poesia più "impegnata" [IX; preludio, questo, al libro successivo], un fiero elogio di Roma e dell'Italia [XXII].

- Il IV libro (11 elegie), che contiene le cosiddette 5 elegie "romane", volte a cantare leggende e riti dell'antichità romana, collegate con culti o luoghi particolari (P. mostra dunque di accogliere finalmente, anche se con tutta misura, le richieste di Mecenate), fu probabilmente pubblicato nel 16 a.C., data a cui risalgono gli eventi cui vi si fa riferimento; i temi cantati in queste elegie "eziologiche" (ma non servilmente celebrative) sono: il dio Vertumno, il tradimento della vergine Tarpeia, la dedica del tempio di Apollo Palatino, la leggenda di Ercole e Caco, il culto di Giove Feretrio (numerosi spunti, di forma e di contenuto, ne trarrà l'Ovidio dei "Fasti").

Anche le altre elegie risultano frutto di maggiore estensione e di maggiore impegno rispetto a tutte le precedenti altre. Ma ci sono anche due elegie dedicate all'amore coniugale: in particolare, l'XI, che la tradizione suole denominare "regina elegiarum", si risolve in una celebrazione delle antiche virtù delle matrone romane, nelle nobili parole che, dopo la morte, Cornelia rivolge al marito Emilio Paolo. La stessa Cinzia vi ritorna ancora, due volte: una come ombra [7], ma sempre amara e aggressiva, che appare in sogno al poeta e lo rimprovera di essersi dimenticato di lei e dei momenti felici vissuti insieme; un'altra ancora in vita [8], gelosa e vittoriosa (ha "sgamato" P. con due meretrici, ma riesce a riportarlo a sé dopo una violenta sfuriata), in una sorta di elegia trionfale.

Il derivante carattere "composito" di questo libro è stato, infine, variamente interpretato, ora come voluta scelta di P., ora come necessaria conseguenza dell'essere una raccolta in realtà (secondo alcuni) postuma.

Considerazioni.

Poesia e amore. Poesia e amore sono i due elementi fondamentali e inscindibili in P.: il poeta si sente vittima d'amore, e proclama il suo "servitium Amoris", la sua dedizione totale alla passione. Questa è una precisa scelta di vita, lontana dalle tradizionali ambizioni del foro e della politica, una vita di "nequitia" di cui il poeta è consapevole; ed è pure una scelta di poesia e di poetica (particolarmente illuminante, al riguardo, è la "programmatica" I elegia del I libro): di una poesia che esprima una vita dedita completamente all'amore, e che dunque sia idonea a far innamorare la donna, e di una poetica, quella callimachea, che con la sua "brevitas" e l'impiego del mito meglio si presti agli intenti del poeta elegiaco.

Cinzia sangue e carne… A differenza di altri elegiaci più - come dire - "fantasticanti", P. ha poi un'immaginazione corposa, che ama le tinte intense, i bruschi trapassi: come in quelli, l'amore è certamente al centro della sua vita e del suo canto, ma è un amore fatto soprattutto di passione e di tormento, assoluto e coinvolgente, che si proietta oltre il reale, oltre la vita stessa, sino a superare le barriere della morte, sino a farsi mito.

Cinzia è innanzitutto splendida presenza fatta di carne, che ossessiona la fantasia e il ricordo e alimenta la gelosia di P.; quella donna che pure, teneramente nella mente del poeta, da sola costituiva "la sua casa, i suoi genitori", ogni possibilità di gioia per la sua vita. Ma raramente in lui, come detto, l'amore è appunto gioia e tenerezza, quasi sempre è dolore: egli vive questo sentimento in modo drammatico, come una tormentosa passione che lo sfianca.

… ma anche "mito". Le "Elegie romane". Pure per altra via la presenza di Cinzia diviene, nel poeta, memoria grandiosa: attraverso il mito, preziosa eredità della poetica alessandrina: ma, a differenza di quello, il mito usato da P. non è inteso puramente come brillante e talora divertito sfoggio di erudizione: in lui, la realtà stessa, l'intero suo mondo degli affetti viene trasfigurato e, per così dire, eternato dall'atmosfera incantata del mito. Sotto questo rispetto, la critica recente è portata a non ravvisare una reale frattura (spirituale e artistica) tra il P. cantore d'amore e il P. che canta antichi miti romani e italici.

Come sappiamo, infatti, collegandosi programmaticamente agli "Aitia" di Callimaco (addirittura come "Callimaco romano" P. si presenta nell'elegia proemiale del IV libro), P. - nelle "Elegie romane" (la II, IV, VI, IX, X del IV libro) - rivive le origini di storie e leggende dell'antica Roma, ma con una visione finale del mito che certamente supera gli angusti ambiti entro cui il poeta di Cirene lo aveva costretto. Al "mito" di Cinzia allora subentra (o, meglio, addirittura s'alterna) quello di Roma con un atteggiamento poetico sostanzialmente coerente: perché "mito" è per P., sempre e comunque, elevare la realtà attuale (qualsiasi realtà, storica o intima) in un passato esemplare che la renda in certo modo nobile ed eterna. Inoltre, <<[esso] suscita reminiscenze di cultura ed arte, il che doveva piacere in una società raffinata>> [L. Alfonsi].

Lingua e stile. <<All'intensità sentimentale dell'elegia properziana corrisponde una temperie stilistica densa, fatta di scorci, di trapassi arditi, in una concentrazione talora estrema, che costringe il lettore a indugiare di continuo per cogliere la pregnanza spesso oscura di un'espressione. A termini dotti e ricercati s'alternano, nei contesti più realistici, espressioni del linguaggio quotidiano, in una tensione stilistica ricca di ambiguità. E' arduo talora cogliere appieno l'intera valenza connotativa di un'espressione, come è difficile, almeno all'inizio, individuare, nell'intreccio delle sue articolazioni, la struttura di un'elegia properziana: è una tecnica eminentemente composita, nella quale sembra tradursi l'animo stesso, appassionato e contorto, del poeta. Di qui gli inizi improvvisi, assai suggestivi, delle sue elegie; di qui i passaggi sintattici e concettuali repentini e, almeno in apparenza, lontani da ogni coerenza logica. Le sue espressioni hanno la concentrazione incisiva delle epigrafi, una densità di idee e di allusività che sembra di fiamma (come li definì Ovidio), ma anche, all'occasione, una certa patina di leggera ironia, che sembra svelare, in alcuni momenti, il gioco del poeta, ondeggiante tra fantasia e realtà, la sua capacità di distaccarsi dall'oggetto della sua passione, e di ragionare, un po' divertito, sulla passione stessa. Il tutto con un linguaggio poetico elevato, informato a una dotta eleganza.>> [C. Salemme, libero adattamento]


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