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Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto "il Giovane"

--- Como 61/62 – 112/3 d.C. ---

 

Vita.

Orfano di padre, P. venne adottato da Plinio il Vecchio, suo zio materno (da cui il nome); a Roma, studiò retorica, sotto la guida di Quintiliano e di N. Sacerdote.

Incominciò presto la carriera forense, con notevoli successi: il suo "cursus honorum" culminò nella nomina a "prefetto dell’erario" (98) e "consul suffectus", sotto Traiano. Questi, inoltre, lo nominò suo legato in Bitinia (111).

Opere e considerazioni.

Panegyricus. Considerato dai contemporanei - e ancor più da se stesso - un oratore di primo piano, P. pronunciò (nell'anno 100) il "Panegyricus" ufficiale dell'imperatore Traiano, e questo "saggio", di cui disponiamo, ci permette di giudicare delle sue qualità nell'eloquenza ufficiale.

La sua frase è ampia, lunga e sinuosa; il pensiero aggrovigliato e, per lo più, "banale". Ma bisogna mitigare questa impressione sfavorevole, tenendo conto che il genere aveva le sue esigenze, la prima delle quali era che l'allusione dovesse prevalere sulle affermazioni, perché era piuttosto pericoloso parlare troppo e chiaro. Sotto questo rispetto, quindi, P. ci appare come un vero maestro: dalle sue parole emerge, ad es., un'immagine dell'imperatore che corrisponde esattamente al modo in cui Traiano desiderava proporsi agli occhi del suo popolo. Insomma, con P., l'eloquenza diventa una specie di lavoro poetico, esattamente ciò che Platone, in passato, temeva che potesse divenire: maestra di illusione e di menzogna (ma questo, come detto, è tratto comune dell'eloquenza del tempo).

Il "panegirico", comunque, risulta interessante – oltre che per essere l’unico esempio di oratoria romana nella I età imperiale e il punto d'inizio di un genere effettivamente nuovo ed originale nella letteratura latina - quanto meno per l’importante auspicio, in esso contenuto, di un periodo di rinnovata e costruttiva collaborazione tra imperatore, senato e ceto equestre (con qualche ingenuità, P. sembra rivendicare per sé una sorta di funzione "pedagogica" nei confronti del Principe).

Epistulae. E’ probabile però che l'eloquenza giudiziaria di P. (fu, tra l'altro, un avvocato di grido) fosse di diversa qualità, giacché egli ci appare nelle sue "Epistulae" (parte fondamentale della sua opera) un onest'uomo, anche piuttosto scrupoloso (perlomeno quando scrive a Traiano, durante l'esercizio della carica di governo in Bitinia, per chiedergli consigli sul comportamento da adottare nei confronti dei suoi amministrati).

Le "Lettere" sono in 10 libri: i primi 9, raccolti e ordinati dallo stesso P. per consiglio dell'amico Setticio, contengono lettere di indole privata ("Ad familiares"), indirizzate ad amici e (meno) a parenti. Si presentano come veri e propri saggi, per lo più brevi, di cronaca sulla vita mondana, intellettuale (vi compaiono, tra gli altri, Marziale e Tacito, cui del resto P. fu molto legato) e civile (di cui, visto il suo "status", egli è osservatore privilegiato): lo spunto per l'impostazione di fondo, etico-didascalica, gli viene certamente da Seneca (si ricordino le lettere di questi a Lucilio). Il X libro, pubblicato postumo, è riservato invece al carteggio ufficiale intercorso, come detto, con Traiano.

I libri su citati, non meno di quest’ultimo, rivelano nella forma (il modello stavolta è Cicerone, ma con accenni di "maniera") una ricercatezza e una lisciatura che direbbero da sole - quand’anche l’autore stesso non lo avvertisse col suo "paulo maiore cura" - che esse sono state rivedute per affrontare il giudizio del pubblico: ben lo testimonia l’ordinamento interno, attento alla "variatio" degli argomenti.

Il nostro mostra notevoli interessi verso le cose intellettuali, in particolare per la filosofia e per la scienza naturale, ma più con lo spirito del "dilettante" che con quello del vero pensatore o scienziato. Inoltre, ci offre un esempio esauriente della cultura "umanistica", così come era concepita al suo tempo; nonché - come detto - un ampio, suggestivo e dettagliato monitoraggio sulla vita dell'Impero. E’ possibile, infine, al di là delle differenti personalità dei due autori e dei loro differenti ruoli politici e contesti storico-culturali, valutare ciò che la perdita della libertà ha potuto produrre nello spirito romano, se si paragonano queste "Lettere" di P. proprio con l' "Epistolario" di Cicerone.


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